L’opera di Perm porta “Romeo e Giulietta” al Teatro Regio di Torino
“L’eccellentissima e lamentevolissima tragedia di Romeo e Giulietta“è una storia saldamente radicata nell’immaginario anglo italiano (o italo inglese). Anche chi non ha mai letto il testo originale conserva comunque nella mente dei segmenti di trama più o meno inficiati dalle varie trasposizioni cinematografiche degli ultimi tempi. I Capuleti, i Montecchi, il ballo, le maschere, il balcone, Mercuzio, Tebaldo, la balia, Paride, il veleno, e così via: bagliori shakespeariani che dopo più di quattrocento anni ancora albergano nei ricordi di molti.
Questa settimana è stata Torino a rendere omaggio alla celebre coppia veronese: dal 3 all’8 maggio i tre atti di Sergej Prokof’ev sono stati interpretati sull’illustre palco del Teatro Regio di Piazza Castello. La compagnia, capitanata da Aleksej Mirošnienko, arriva da Perm, una città della Russia europea orientale (per intenderci, a nord del Kazakistan). Forse Perm, per noi del vecchio continente, non è tra le città russe più note, ma la sua valenza storica non può non essere considerata: per lungo tempo, infatti, ci ha vissuto un giovane Sergej Pavlovič Djagilev, il celebre inventore dei ballets russes, formatore del grande Vaclav Fomič Nižinskij e promotore di una certa modernità della danza. E forse a Perm c’è ancora un qualche genius loci che ispira e plasma le compagnie di oggi, data la lodevole capacità artistica dei giovani ballerini di Mirošničenko.
La proposta dei ragazzi di Perm è piuttosto accattivante: innanzitutto va notato che la coreografia non è quella di Leonid Lavrovskij, datata 1940, ma quella, più giovane di vent’anni, di Kenneth MacMillan. Le scene di Mauro Carosi, poi, propongono un impianto architettonico ed artistico audace ma in fin dei conti azzeccato: la stanza di Giulietta, per esempio, è una riedizione della splendida camera picta del castello di San Giorgio a Mantova; sopra la testata del letto troneggia infatti quel meraviglioso soffitto affrescato del Mantegna che tutti ricordiamo. Anche i costumi funzionano molto bene: le squillanti creazioni di Odette Nicoletti rievocano efficacemente l’immagine di un’epoca in cui l’abbigliamento giocava un ruolo specifico nelle relazioni sociali. Non che non sia più così, ma forse oggi ci sono più eccezioni che non confermano la regola. Volendo essere pignoli, si potrebbe segnalare che i molti cambi d’abito del primo atto non aiutano chi è dietro la sesta fila a focalizzare i personaggi. Ma nulla di grave, alla fin fine. Nonostante i tagli alla trama (fisiologici nei balletti) che limitano l’introspezione psicologica di alcuni personaggi, le vicissitudini veronesi giungono alla platea con tutta la loro forza emozionale. La trama dei giovani amanti viene riconsegnata al pubblico in maniera fedele, risoluta, puntuale. Ci si potrebbe spingere ad affermare che il cast di Perm non si limiti solo a danzare: molti ballerini sono stati capaci, con i gesti e gli atteggiamenti, di far palpitare la complessità diacronica del mito mediterraneo della coppia infelice che nasce con Masuccio da Salerno, si evolve con Luigi da Porto e Matteo Bandello e che giunge al celebre drammaturgo inglese solo dopo gli interventi letterari di Pierre Boaistuau e Arthur Brooke.
Nel complesso, dunque, questa versione di Romeo e Giulietta è molto apprezzabile. Forse non si tratta di un prodotto particolarmente innovativo, ma d’altronde il balletto è una delle poche espressioni artistiche che possono permettersi il lusso di rimanere ancorate alla classicità e alla tradizione. Anzi, in un mondo in cui sono le giostre dei futurismi a farla da padrone, un qualche eminente baluardo di sano passatismo è necessario, fa bene allo spirito.
Davide Maria Azzarello