Kilowatt Festival: Cronaca di un viaggio, tra perdite e ritrovamenti, al termine della notte.
“Ciò che è morto, non è morto nella storia. Una funzione del dramma è l’evocazione dei morti – il dialogo con i morti non deve interrompersi fino a che non ci consegnano la parte di futuro che è stata sepolta con loro.” Heiner Müller
È con queste parole che comincia un “viaggio al termine della notte” (dall’omonimo romanzo di Louis-Ferdinand Cèline), o meglio di una delle notti più buie e lunghe che il Teatro abbia mai dovuto affrontare e superare, che questo Kilowatt Festival 2020 torna a illuminare con ben 39 titoli, molti dei quali in prima o anteprima nazionale. A pronunciarle, sulla storica scalinata del Palazzo di Pretorio, è l’attore, autore e regista Roberto Latini, padrino di questa diciottesima edizione del Festival, ideato e mirabilmente organizzato da Luca Ricci e Lucia Franchi: a loro e a tutta l’organizzazione va il merito di essere riusciti a realizzare un piccolo miracolo, ricongiungendo finalmente al Teatro tantissimi spettatori e artisti dopo l’infinita astinenza di questi mesi.
La presenza-onnipresenza di Roberto Latini si dimostra un valore aggiunto determinante per questa edizione del Festival nel suo non essere soltanto prestigiosa, ma rappresentando invece un motore immanente capace di pervadere l’intera manifestazione. Alla sua figura e alle sue opere vengono infatti dedicati un incontro pubblico in due giornate incentrato sulla tradizione dell’innovazione, un originale evento-mostra interattivo per singoli spettatori dal titolo “Carta Carbone”, un progetto sulla drammaturgia strutturato in diversi appuntamenti-movimenti giornalieri sviluppato con gli allievi del Corso di perfezionamento in Dramaturg internazionale e promosso da ERT, e infine, e forse soprattutto, uno dei suoi spettacoli più amati, “Amleto + Die Fortinbrasmaschine”, che lo vede protagonista in scena di un’opera che è una riflessione potentissima, per profondità e attualità, sul significato del Teatro oggi e al di là del tempo. È Roberto Latini lo spettro-guida che, talvolta evocato da altri quasi non fosse più contemporaneo (ma per nostra fortuna lo è, eccome…), anima l’intero Festival e illumina la strada nel nostro “viaggio” con la sua miracolosa e ubiqua presenza-non presenza. Come ci accade con i personaggi della tragedia di Amleto rifrequentati dalla coraggiosa riscrittura di Latini dell’opera di Heiner Muller (che a sua volta riscrive Shakespeare), l’incontro con gli spettacoli proposti in questo Festival ha il merito di darci una nuova misura della distanza che intercorre tra loro e noi, tra un “prima” e un “dopo”.
Frequentare le proposte teatrali nate, e poi sospese, poco prima che l’oscurità calasse ci mostra, da una parte, la frattura che intercorre tra quel tempo e questo, ma soprattutto ci consente di riconoscere i semi di un possibile futuro del Teatro, o almeno di ciò che a noi realmente oggi interessa. Dall’oscurità nascono ispirazione e capacità di vedere con occhi nuovi i colori del mattino; Kilowatt Festival rappresenta in questo senso l’energia con cui “alimentare la torcia” che ci consente di illuminare il termine di questa notte e di intravedere figure, fantasmi e sentieri necessariamente ancora incerti e in divenire: la varietà delle proposte ci consente di puntare questa torcia in tante direzioni diverse e possibili.
Cominciando da “Tabù – Facendo colazione con il latte alle ginocchia” della Compagnia riminese Quotidiana.com: una divertente, mai banale e ben documentata indagine (“Ho fatto la ricerca”, come ripete spesso Roberto Scappin a Paola Vannoni durante lo spettacolo) su ciò che oggi è ancora vietato o almeno disdicevole, e su come il concetto di trasgressione sia, come tutto del resto, in continuo divenire; passando per la riscrittura del mito delle “Baccanti” di Simone Perinelli, che con Isabella Rotolo dà vita alla Compagnia Leviedelfool. Simone, solo in scena, interpreta, distorce, colora, “rappa” maschere e personaggi evocati dal suo casuale incontro ispiratore con un mendicante.
Nel secondo giorno, l’illuminante e come sempre capovolgente intervento di Antonio Rezza mette la punteggiatura durante l’incontro pubblico del mattino insieme a Flavia Mastrella (senza dubbio uno dei punti più alti del Festival), cui segue Paolo Mazzarelli con una bella prova d’attore in “Soffiavento”, per concludere come anticipato con Roberto Latini che piazza un enorme punto esclamativo alla fine della giornata grazie al suo emozionante “Amleto + Die Fortinbrasmaschine”, meritandosi applausi infiniti da parte di un pubblico entusiasta e commosso.
Protagonista della giornata successiva è stato Andrea Cosentino, già Premio speciale UBU un paio di anni fa, che insieme all’ottimo musicista e compositore Fabrizio De Rossi Re presenta il primo studio di “Rimbambimenti – dalla fisica quantistica al morbo di Alzheimer”. “Saepe ridentes veritatem dicimus”. Nel caso di Andrea Cosentino siamo noi, ridendo, a trovarci a riflettere su noi stessi. Che si tratti di arte performativa, economia, tv, fisica quantistica o altro, Cosentino sa bene come sviscerarne i meccanismi e i paradossi. La sua comicità “fuori dal tempo” si incontra e si dissolve nel vuoto della memoria e dello spazio interstellare, inghiottendo tutto in un enorme buco nero da cui la luce della razionalità tenta, disperatamente, di uscire. Il grande mestiere e le peculiari capacità performative di Andrea gli consentono di sopperire brillantemente a una struttura drammaturgica ancora in evidente definizione (inevitabilmente) e a un’incompiutezza coerente con le premesse ma ancora a rischio di horror vacui. Si tratta infatti di un’anteprima, ricordiamolo, quindi di “lavori in corso” a cui noi “umarell” non possiamo fare a meno di assistere piacevolmente attoniti.
Decisamente diversa la direzione della luce che “Eracle, l’invisibile” di Teatro dei Borgia punta verso il buio, attraverso una costruzione drammaturgica che si fa allo stesso tempo mito e narrazione del quotidiano. La sovrapposizione tra la tragedia di Euripide e la vicenda assai contemporanea della vita semplice ma felice di un uomo a cui il destino toglie, poco per volta, tutto ciò che ha di più caro, è il secondo episodio di una trilogia che rappresenta un interessantissimo modo di intendere il Teatro come qualcosa “in divenire”, e che rende palpabile e concreta quella distanza (o non distanza) di cui parlavamo all’inizio. Il mito diventa carne viva anche per merito della convincente prova di Christian di Domenico, che riesce a supplire ai limiti di una location come il bellissimo cortile del Palazzo delle Laudi, affascinante e intimo ma inevitabilmente penalizzante rispetto all’obiettivo di credibilità e “immersione” che la prevista rappresentazione “on site” di questo spettacolo normalmente garantisce.
“C’est la vie”, indagine sulla tragedia rappresentata dalla morte di un figlio, è molto probabilmente la luce più potente che questo Festival ha il merito di puntare oltre il termine della notte, lasciandoci intravedere direzioni forse inaspettate e lasciandoci molta curiosità su ciò che il “dopo pandemia” sarà in grado di far scaturire a breve. Il lavoro del drammaturgo e regista franco-marocchino Mohamed El Khatib messo in scena (in prima nazionale) dal suo Collectif Zirlib è un atto politico, prima ancora che estetico e profondamente emozionante, per la sua capacità di stravolgere e ridefinire i concetti di autorialità, la distanza tra personaggio e attore, palcoscenico e platea, i confini tra dolore privato e condivisione pubblica, rappresentazione e realtà vissuta; politico è il “modo” in cui veniamo coinvolti in questa esperienza personale e condivisa, la pesantissima leggerezza con cui ci viene raccontata, il continuo dentro-fuori rispetto alla realtà, i falsamente veri (o veramente falsi) fuori programma, la frontalità dichiarata e tradita, il farci ridere e soffrire, credere e diffidare di tutto; politica è infine la scelta stessa degli strumenti con cui veniamo coinvolti, con continui rimandi tra video, personaggi in carne e ossa, didascalie e antididascalie, email, disegni, dichiarazioni scritte ecc. Il rumore, alla fine, della porta che si chiude sbattendo, e l’immagine del palcoscenico vuoto con al centro il piccolo trofeo “non vinto” da Sam sono colpi al cuore e ricordi preziosi che porteremo con noi a lungo, molto a lungo.
“C’est la vie” è lo sparo nel buio di cui avevamo bisogno. Una riflessione su ciò che è stato, è e sarà Teatro. In fondo, è una questione di perdite e di ritrovamenti. “Ciò che è morto, non è morto nella storia.” L’autore, Mohamed El Khatib, ringrazia tutti gli spettatori delicati che mai direbbero “C’est la vie” a qualcuno che perde un parente.
Noi ringraziamo gli artisti e gli organizzatori di questo Kilowatt Festival per averci consentito di ritrovare qualcosa che ci è mancato molto, troppo a lungo: il Teatro.
A.B.
Kilowatt Festival – Sansepolcro
20-26 luglio 2020
Curatori Artistici: Lucia Franchi e Luca Ricci