“KADDISH” di Allen Ginsberg con Ferdinando Bruni al Teatro Franco Parenti
Una postazione stabile con sedia, microfono, brocca d’acqua, svariati televisori intorno, tutto farebbe pensare a un telegiornale in diretta, invece è la scena che si presenta davanti allo spettatore di “Kaddish” di Allen Ginsberg, nella traduzione di Luca Fontana, prodotto dal Teatro dell’Elfo e ospite al Teatro Franco Parenti, in scena dal 16 al 30 maggio.
“Per sempre, è là che siamo diretti.”
Un’unica voce, quella profonda di Ferdinando Bruni, che si accomoda in scena come se fosse un giornalista, ma quello che sgorga non appena apre bocca non ha nulla a che vedere con il telegiornale: un flusso di parole che parte piano insieme alla musica di sottofondo, che si unisce alla musica stessa, usa gli stessi colori, con un ritmo che si fa sempre più incessante, non c’è spazio se non per impercettibili respiri e lo spettatore viene inondato dall’abbondanza di immagini, che prendono il loro spazio sugli schermi dei televisori intorno, in bianco e nero.
“Kaddish” è una preghiera di lutto usata nel mondo ebraico ed emerge con tutta la sua forza nel poema che Allen Ginsberg ha dedicato alla madre Naomi dopo la sua morte. La donna soffriva di una malattia mentale non ben identificata e Ginsberg in questa composizione racconta, tra le altre cose, di come, a 12 anni, l’avesse accompagnata a una visita in un luogo lontano e quel viaggio, lunghissimo, prende forma ed emozione nei versi, senza riserve e senza filtri. Così come emergono a poco a poco, con furore, tutte le sofferenze causate dalla pazzia, gli sfoghi, le urla, le paranoie. Naomi è il centro di tutto, dei versi vorticosi e spietati, a ritmo sostenuto, che sfociano in momenti di forte impatto e in alcune immagini raccapriccianti che descrivono l’agonia e la malattia che si è portata con sé fino alla morte.
“La chiave è sulla finestra, è nella luce del sole… alla finestra”
Una notevole prova d’attore quella di Ferdinando Bruni, che sostiene il flusso fermamente fino alla fine; efficace e diretta la regia di Francesco Frongia. Scorrono brividi, brividi in chi ascolta e viene catapultato nelle immagini del ricordo di un figlio per la madre. Uno spettacolo che non lascia indifferenti, forte e impegnativo, che stringe in pugno e non molla fino alla fine.
Roberta Usardi