Jörg Immendorff a Venezia
La Fondazione Querini Stampalia di Venezia, dimostrando come sempre di essere molto attenta a una ricerca artistica inedita, ha organizzato una mostra su Jörg Immendorff. Inaugurata l’8 maggio e curata da Francesco Bonami, questa grande rassegna è un evento collaterale della 58^ Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, e dunque si concluderà il 24 novembre. Non una retrospettiva, si legge nel comunicato stampa, ma il primo progetto a investigare un tema fondante dell’opera di Immendorff: la rappresentazione dell’artista, ma soprattutto la sua partecipazione all’interno dei propri dipinti […]. Ichich, Ichihr, Ichwir / We All Have to Die è l’ermetico e piuttosto inintelligibile sottotitolo di quest’evento.
Ma di chi stiamo parlando? Nato nel 1945 a Bleckede, Bassa Sassonia, Immendorff è stato pittore, scultore e sceneggiatore. Ha studiato a Düsseldorf, all’accademia: è stato allievo di Joseph Beuys, che ha insegnato lì dal ’60 al ’70. Si è confrontato, da giovane, con vari esponenti del cosiddetto neoimpressionismo tedesco, da Georg Baselitz a Markus Lüpertz, ma poi ha dialogato anche con tanta arte italiana: Guttuso, Merz, Paladino, Cucchi, Clemente e così via. Riconosciuto già in vita, ha esposto a documenta V (1972), documenta VII (1982) e alla Biennale del 1976. Venuto alla ribalta con la serie Café Deutschland (1977-1984), ha passato una vita intera a criticare gli estremismi, le incoerenze e le ombre della società: con i suoi dipinti ha contestato e sferzato tanta politica, senza mai dimenticare il passato nazista della Germania e senza risparmiare le stoccate anche per un certo sovietismo. È stato insegnante, barista, artista appassionato arrabbiato e polemico. Nel 2000 ha sposato la bulgara Oda Jaune, una sua allieva dell’accademia di Düsseldorf (dove lei è rimasta dal ’98 al 2003) che oggi è un’artista affermata e oggettivamente interessante. Affetto da sclerosi laterale amiotrofica, Jörg si spegne nel 2007 a Düsseldorf. Anarchico, stravagante, dissoluto: quando i giornalisti scrivono di lui questi aggettivi si ripetono con una certa insistenza assieme ad un’ampia e prevedibile gamma di sinonimi. Poi, certo, se si indaga più a fondo nella sua biografia, se si legge degli “scandali” che lo hanno coinvolto (questioni di droga, orge et similia) viene da pensare che la sua esistenza fosse un po’ scardinata rispetto ai valori borghesi del secondo Novecento. Ma tanto meglio per lui e per chi lo conosceva.
La mostra, organizzata in collaborazione con la prestigiosa Michael Werner Gallery di New York e Londra, indaga su una sezione specifica della produzione dell’artista: Bonami ha selezionato una serie di opere che, come accennato prima, propongono il tema dell’artista in qualità di soggetto dinamico e presente nei suoi stessi prodotti, nelle sue proposte e quindi nella propria arte. La mostra attraversa tutto l’arco di vita di Immendorff: ci sono quadri giovanili ma anche molto recenti; nonché un affascinante comparto di tele create sotto il suo comando dai suoi allievi quando ormai la malattia gli impediva di tenere in mano i pennelli. Forse si tratta di un’occasione ridotta, un po’ ristretta, per comprendere davvero l’essenza del pensiero di Immendorff. Ma di sicuro le opere esposte sono sufficienti per suscitare un certo educato interesse in chi passeggia per le sale di Palazzo Querini. E comunque si tratta di una delle prime rassegne in Italia interamente dedicate a lui, e quindi si spera che l’argomento venga presto approfondito.
Davide Maria Azzarello