Isabella Corrado e la “fame” della sua generazione
“Le nostre passioni le mettiamo ad ammuffire, perché lavoro e passione sono termini contrastanti”
Cosa è la fame? Qual è la fame che nutre e quale quella patologica? Cosa ingurgitiamo se parliamo di lavoro e cosa se parliamo d’amore? Isabella Corrado ce lo racconta in “Fame” (Ensemble 2019, pp. 159, euro 15) attraverso vite che si muovano tra Londra e Roma, quella di Manuela e quella di Derek. Manuela, aspirante artista, ritorna a Roma alla ricerca di un lavoro, fagocitata dalla frustrazione e consapevole che il suo Paese le offrirà ben poco o nulla rispetto a ciò che merita, e Derek, rampollo di una famiglia londinese e aspirante artista rassegnato, la cui vita ruota tra cibo, donne, alcol e quel dover essere a ogni costo un inetto, etichetta attribuitagli nientepocodimenoche dal suo caro e potente genitore: sentirsi come ti vede tuo padre, quale morte più lenta per Derek? Chi potrà mai salvarlo da questo stato malinconico a cui nemmeno i soldi pongono rimedio? Due vite incerte che cercano di affermarsi in un sistema che vuole convincerci di essere malati, due vite unite dal “supplizio, forse, di cercare o di sentirsi delle persone difettose”.
L’autrice ci racconta, in modo schietto, frammenti di esistenze della sua generazione affamata, formata da giovani prede del potere, alle prese con problematiche reali che facilmente – a causa dell’instabilità sociale – si trasformano in un’instabilità psicologica a creare mostri e ossessioni, a causare facilmente eating emozionali. Due diari, due voci diverse e lontane ma non così distanti da non sfiorarsi. Le sedute psicologiche di Derek dalla dottoressa Rooper si rivelano il cardine, lo snodo di tutta la situazione. Il cerchio si chiude, ma apre una voragine senza via d’uscita. Emerge quell’emotività che sovrappone immagini e persone, facendo perdere di vista l’oggetto del desiderio, ma lasciando solo la sensazione di malessere che non si colloca più in nessun luogo. E quando la voracità – ormai all’eccesso – passa, arriva la rassegnazione e la fame svanisce. C’è il vuoto. E forse era quasi meglio prima… quando l’immagine di gambe lunghissime – osservate e bramate – riuscivano a far immaginare lunghi passi che avrebbero potuto portarci in posti irraggiungibili, lontani.
La scrittura di Isabella Corrado ha un taglio forte e deciso, ma non rinuncia a quel velo malinconico che lega l’autrice e i personaggi a luoghi e alle persone. Il primo impatto, di una storia già vissuta o sentita, lascia spazio ben presto a una curiosità viva che ci lega – in modo indissolubile – al destino dei due protagonisti e che ci lascia anche qui, alla fine – come la vita – mai sazi e con una domanda sempre pronta, sempre la stessa: in fondo, chi siamo?
Marianna Zito