#ioleggoacasa – “Acqua nera” di Joyce Carol Oates
Il 18 luglio 1969 fu un giorno che vide il consumarsi di un tragico evento: l’incidente di Chappaquiddick. Si spense, a soli 28 anni, la vita di Mary Jo Kopechne, che si trovava in auto con Ted Kennedy che, invece, si salvò, ma avvisò i soccorsi solo dieci ore dopo, quando la donna era oramai morta.
Joyce Carol Oates – importante voce della narrativa americana – nel libro “Acqua nera” (il Saggiatore, Collana Le Silerchie, 2012, pp. 128, euro 12, tradotto da Maria Teresa Marenco) fa un chiaro riferimento a questo triste episodio, romanzandolo in un lungo racconto da leggere tutto d’un fiato e modificando i riferimenti di chi ne fu protagonista. Lo ambienta a metà degli anni ‘90, il 4 luglio, dopo una festa. Di notte. Un senatore e una ragazza di ventisei anni, Kelly Kelleher percorrono una strada con visibilità scarsa, su una Toyota, verso un traghetto che li avrebbe portati dalla Grayling Island, sulla terra ferma. Ma, improvvisamente, il buio. L’automobile sparisce tra le acque nere dell’Indian River. L’uomo si salva, mentre la giovane donna no. E allora cominciano tanti pensieri, pensieri che fluttuano in acqua come lunghi e morbidi capelli, pensieri di vita passata e ricordi sommersi in un attimo dall’acqua nera della palude, che irrompe e smorza il respiro fino a fermarlo.
E il racconto si intreccia, ripercorre la serata di risa e bollicine, di mani sfiorate e lunghi baci, fino a tornare a ricordi di infanzia, paure e speranze e di nuovo alla festa, alla casa di Buffy – l’amica di Kelly – e all’arrivo del Senatore, che cambierà il corso della sua vita, spegnendola nella zona paludosa di Graylinh Island, nel Maine, a una ventina di minuti di traghetto da Boothbay Harbor. E proprio quell’uomo che per qualche minuto ha rappresentato per lei la speranza di un lavoro o di una carriera, di un brivido o di un amore, di quella mondanità fatta di potere e apparenza, è stato solamente in grado di farla morire. Da sola.
“Ora lei non urlava più né singhiozzava sapendo che l’ossigeno in quell’oscurità non doveva essere sprecato ma con la gola secca parlava chiaro e forte: sono qui sono qui SONO QUI.”
Marianna Zito