Intervista a Federico Secondomè: il nuovo singolo “100anni”, il prossimo EP e la vocazione per la scrittura e la produzione
Cantautorato e linguaggio urban, un mix che trova un’originale fusione in “100anni”, il nuovo singolo del cantautore veronese Federico Secondomè per Sugarmusic / Neverending Mina e distribuzione Artist First. La canzone fa parte, insieme al precedente singolo “nxn è 1 snitch”, di un nuovo EP di prossima pubblicazione. Federico Secondomè, all’anagrafe Federico Samburgaro Baldini, è musicista, cantautore, autore e produttore: per conoscere più a fondo il suo percorso artistico, il nuovo singolo e i suoi prossimi progetti gli abbiamo fatto qualche domanda.
“100anni” fa parte di un EP che comprenderà anche il precedente singolo “nxn è 1 snitch”: entrambe queste canzoni hanno una sonorità diversa rispetto ai precedenti brani, di cosa di tratta?
Il tutto nasce da una mia frustrazione generale nei confronti della discografia: sono stato due anni in Universal e due anni in Sugar come artista, e questo ha creato in me e nel mio modo di scrivere un senso di aspettativa. Il problema di quando si è sotto un’etichetta discografica come artisti emergenti è che finché non sono d’accordo tutti non si può far uscire nulla. L’estate scorsa mi sono sentito piuttosto saturo dei contenuti che avevo creato, ero arrivato ad avere cinque album di inediti, non ancora usciti, composti in due anni. Ho avuto una produzione maniacale, quasi ossessiva. Ero arrivato a un punto in cui non sapevo più cosa creare, così sono andato a Barcellona con mio fratello in vacanza, ci siamo comprati una chitarra in un negozio di musica, siamo andati sul terrazzino del b’n’b e abbiamo passato una settimana a scrivere musica nuova. Le canzoni sono nate per caso, mio fratello non è musicista e non ha mai scritto musica: trovava gli accordi e io lo fermavo quando sentivo qualcosa di buono e nel frattempo scrivevo il testo. È stato un processo naturale e quasi tutte quelle canzoni saranno incluse nell’EP che uscirà.
“nxn è 1 snitch” e “100anni” sono nate a Barcellona?
In realtà “100anni” è l’unica che non fa parte di quel gruppo di canzoni, ha una storia diversa. A differenza delle altre, è nata in un periodo comune a molti italiani: la quarantena, in cui nella stessa casa una persona è positiva e l’altra è negativa. La canzone ha preso forma dopo che un amico mi ha mandato un beat su cui ho scritto gli accordi e il testo. L’ho cantata e scritta sullo stesso letto del videoclip, è tutto interconnesso.
I cinque album che hai composto in due anni vedranno mai la luce?
Quei cinque album sono serviti per riascoltarmi nella maniera più cruda possibile, è come aver abbandonato le armi per dichiarare chi sono. Sono anche autore per altri e scrivo tante canzoni: recentemente ho fatto ascoltare alcuni di quei pezzi ad altri artisti e alcuni si sono interessati, quindi alcuni verranno donati ad altri artisti per avere nuova vita sotto altre forme, altri brani verranno rielaborati e altri ancora potranno uscire così come sono, magari ricantandoli e rinfrescando la produzione. Di base ho sempre avuto questo modo di scrivere. La diversità è nell’aspetto produttivo, il fatto di rendere tutto estremamente scarno, quasi amatoriale nel modo in cui è fatto. Sto scrivendo le nuove canzoni senza chiamare in sede di lavoro il Federico produttore. Gli altri brani, quelli dei cinque album, sono stati basati moltissimo sulla produzione e adattati al mio linguaggio, non vedo l’ora di farli uscire.
Il tuo EP di prossima uscita quanti brani avrà? Saranno tutti inediti?
Avrà cinque brani tutti originali, ma le cover sono un ottimo ragionamento se si riesce a trasformarle in una propria canzone.
Dopo “100anni” farai uscire un altro singolo prima dell’EP?
Nella scaletta delle idee c’è un nuovo singolo a fine maggio, a cui sono molto affezionato, e sul quale conto tantissimo. Sarà il primo vero singolo, poi uscirà l’EP, probabilmente poco dopo il singolo, verso luglio. Mi piaceva l’idea di pubblicarlo in estate perché in quel periodo ci sono poche uscite. Intendo ritagliarmi un po’ più di spazio e andare in giro a suonare, dato che sto già fissando delle date. È bene pubblicare l’EP prima possibile per fare in modo che la gente abbia riscontro su internet in base a quello che ascolta dal vivo.
Nella tua storia come ti sei avvicinato alla musica, suonando uno strumento o direttamente scrivendo?
La scrittura delle canzoni è arrivata prima del conoscere la musica, è un’ossessione per me. A dodici anni sono entrato in conservatorio per studiare violino, ho fatto il violinista per diverso tempo, facendo concerti, anche all’estero, una bella esperienza adolescenziale, un po’ insolita. Nel frattempo mi sono avvicinato alla composizione e ho cominciato a produrre. A 19 anni ho iniziato ad avere grandi problemi di ansia, ero arrivato a una totale saturazione: ero il ragazzo che aveva tutte le giornate impegnate dalle otto del mattino alle undici di sera, non avevo buchi e uscivo solo il sabato sera. Da allora non è cambiata la situazione, ma ho cambiato le priorità: mi sono reso conto che l’ambiente accademico era un po’ troppo occludente per me, mi era stretto, e forse non ero fatto per essere un interprete. A quel punto mi sono ritirato dal conservatorio, a tre anni dalla fine, pur avendo completato tutti i corsi. Mi sono ritrovato ad aprire uno studio con due amici e da lì ho iniziato a fare l’autore anche per gli altri e a produrre.
Con la Universal avevi avviato il progetto Faith, che tipo di esperienza è stata?
È stato il primo grosso step con cui mi sono fatto conoscere dagli addetti ai lavori. Il mio ex management, con cui sono in ottimi rapporti, mi aveva preso e mandato a Milano a conoscere i produttori, a fare pubbliche relazioni, sessioni di scrittura, una cosa non da poco.
Come autore scrivi anche canzoni in inglese?
Sì, scrivo anche in inglese per gli altri. Sono nato scrivendo in italiano, poi sono passato all’inglese per la sonorità e solo in seguito mi sono riavvicinato all’italiano, quando sono riuscito a farlo suonare come volevo io. Per me il problema della lingua italiana era renderla credibile all’estero, con un testo che riuscisse a coinvolgere qualsiasi ascoltatore, anche per chi parla un’altra lingua, che è la forza dei pezzi internazionali. Quante parole si capiscono delle canzoni in inglese che passano tutta l’estate in radio? Forse un 10% o 20%, il resto è vibe e feeling.
Che tipo di musica ascolti?
Ho differenze di ascolti: quelli che faccio per lavoro, la musica che devo ascoltare e che mi permette di essere aggiornato su tutto quello che succede. E poi la musica che ascolto per passione, che va verso John Paul Young e tutte le playlist funky. Mi piace molto il funky in generale e adoro pezzi di Post Malone, The Weeknd e altri artisti nuovi, come il giovane trapper americano, nonché skater professionista, Lord D’Andre. Mi piace molto anche Jacob Collier, più per il suo carattere poliedrico che per la musica.
Roberta Usardi
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