Indigo e il nuovo singolo “Stiamo bene” – L’intervista
Il 3 luglio scorso è uscito “Stiamo bene” il nuovo singolo di Indigo, nome d’arte di Giorgio Maria Duminuco, cantautore torinese dalle origini siciliane. Lo stile è un pop misto di elettronica con un bel groove per un sound tutt’altro che scontato. Abbiamo fatto qualche domanda all’artista per conoscerlo meglio.
Prima di tutto come nasce il tuo nome d’arte e la sua bella grafica?
Quando agli inizi stavo riflettendo sul mio progetto da solista ho provato a cercare un nome che potesse racchiudere il più possibile ciò che sono e ciò che voglio esprimere nella mia musica. La mia formazione musicale è stata principalmente di stampo jazz e soul, ed ho avuto la fortuna di avere un’insegnante – Elisabetta Prodon – che mi ha trasmesso l’amore per questi generi. C’è un celebre standard di Duke Ellington che si chiama appunto “Mood Indigo” e racchiude già nel titolo quello stato d’animo malinconico caratteristico che, anche se in modo differente, sento appartenermi. Allo stesso tempo l’indaco è un colore che spesso viene associato alla spiritualità. Nei miei brani cerco di parlare attraverso cose quotidiane di qualcosa più profondo, che molto spesso va oltre le apparenze. Per questo motivo ho scelto Indigo come nome d’arte, lo trovo rappresentativo. Mi sono permesso però una piccola licenza di sonorità, spostando l’accento originale sulla seconda ‘i’.
Tengo molto all’estetica delle cose, e per questo motivo ho tra le persone con cui collaboro Fluo.Making, caro amico che si occupa insieme a me della direzione della parte visuale del progetto. È riuscito a mio parere a rendere bene in chiave moderna un po’ il mood di cui parlavamo, esprimendo anche grazie alla simmetria centrale del logo, l’idea di doppia lettura che cerco di dare ai miei brani.
In “Stiamo bene”, il tuo ultimo singolo, canti “non pensarci, non ci salverà mai dalla malinconia che portandoti via ci butta giù” un verso che fa capire la fine di qualcosa e anche l’intento di non interrogarsi troppo su come sia finita, corretto?
In un concerto a teatro Claudio Baglioni disse una volta che “la vita è fatta di incontri e incanti”, e quella frase mi è sempre rimasta impressa perché racchiude a mio avviso una grande verità. Per me è stato un anno complesso quello appena passato, segnato da diverse separazioni e “Stiamo bene” parla in chiave un po’ sarcastica proprio di uno di questi saluti. Ci sono dei legami che si costruiscono nel tempo e che sono densi di significato e di emozioni condivise, solo che a volte alcune scelte personali possono portarci ad allontanarci e quello che resta sono dei ricordi pieni di un misto di affetto e dispiacere. La vita è appunto fatta di incontri, e un incontro può essere visto come qualcosa di istantaneo, con un inizio ma anche una fine. Accettare questa cosa è fondamentale per ripulire i ricordi rimasti dalle emozioni pesanti, e continuare a rimuginarci su non è la strada giusta per riuscire a far passare proprio quella malinconia.
In “Stiamo bene” c’è un groove pazzesco dato principalmente dal giro di basso, è un brano ballabile nonostante non si possa definire allegro, ma con un ottimo risultato, come hai trovato questo sound?
Ti ringrazio, sono felice che il giro di basso colpisca così, è una cosa che speravo. Come ti dicevo nei miei brani cerco di poter dare più livelli di fruizione, e in questo caso mi piaceva molto il contrasto di un contenuto malinconico in una confezione decisamente più energica. L’idea che volevo esprimere è un po’ simile al concetto di “Alors on dance” di Stromae – anche se con ben altra dimensione, ovviamente! – dove si finisce a ballare per non pensare alla tristezza di alcuni eventi della vita. Il giro di basso è stato registrato da Alessandra Barbero, sotto suggerimento di Keezy, il ragazzo che si occupa della produzione. Sono felice di questa collaborazione, in loro due ho trovato persone con cui capirmi musicalmente nella direzione del progetto.
In “Questa luce” uscito lo scorso aprile, canti “quando sarò grande voglio vivere con te, nel silenzio non ho paura anche se ogni tanto mi perdo ancora”, cosa ti impedisce di “essere grande” per realizzare il sogno della canzone?
Come ti dicevo è stato un anno molto complesso e “Questa luce” è un brano legato ad un’altra di queste separazioni. È stata una canzone scritta in due tempi, ed alcune parti le ho scritte in un momento di grande felicità e di amore, dove con l’innocenza quasi di un bambino immaginavo un futuro dove i problemi quotidiani potessero essere spazzati via dalla condivisione di un percorso di vita con qualcuno. Il dire “Quando sarò grande voglio stare con te” non vuole sottendere un impedimento nel realizzare quel pensiero, ma più un essere fiduciosi in ciò che succederà senza però doversene preoccupare in quel preciso momento.
In “Paura del buio” canti “sento muoversi dentro una musica che mi parla di quello che non c’è”, è stato il momento in cui hai capito che la musica era la tua strada? Quanto pensi che le forme d’arte, la musica in questo caso, possano influire sul superamento delle paure?
Se devo essere sincero non è stato quello il momento in cui ho capito che la musica sarebbe stata la mia strada. I percorsi artistici sono sempre molto delicati per chi li vive e a volte per capire a fondo quello che sei e che desideri devi per lo meno accettare che questo possa essere una vera possibilità per la tua vita. Scrivendo “Paura del buio” ho proprio ammesso questo a me stesso. Che l’arte possa riuscire effettivamente ad essere strumento risolutivo nel superamento delle proprie paura è probabile, anche se il processo non è così scontato. Però c’è una cosa sicura: utilizzare l’arte per esplorare sé stessi sicuramente crea una connessione limpida con molte delle proprie emozioni – tra cui la paura – e vedere in faccia ciò che temiamo può essere molto d’aiuto nell’accettazione di queste.
Quali sono i tuoi prossimi progetti musicali, stai lavorando a un EP o a un album?
Indigo è nato circa da un anno ed in questa prima fase ho sentito la necessità di uscire solo con dei singoli, non solo per farmi conoscere, ma soprattutto per sperimentare musicalmente e delineare lo stile che desideravo usare per esprimere ciò che volevo. Ho iniziato da poco a raccogliere le idee e scrivere cose nuove perché sto iniziando a lavorare al mio primo EP che, se tutto va bene, dovrebbe vedere la luce per gli inizi del 2021. Nel frattempo conto comunque di non restare fermo e di fare uscire ancora qualcosa.
Quali sono stati i tuoi artisti di riferimento?
Amo la contaminazione e per questo motivo cerco di mantenermi aperto a tutti gli ascolti possibili, anche quelli che non amo particolarmente. È però vero che ci sono degli artisti con cui senti più affinità e che ti segnano nella tua crescita artistica. Nel panorama internazionale ci sono degli artisti pazzeschi che molto spesso non sono così tanto conosciuti in Italia, ma che hanno un approccio alla musica splendido. Ad esempio c’è Jon Bellion, cantante e produttore statunitense che riesce a coniugare perfettamente il pop internazionale con il groove della black music. Oppure gli Hiatus Kaiyote, band australiana che fa nusoul splendido. In sincerità però, se da un lato tendo a prestare ascolto a quello che succede all’estero, amo principalmente la musica italiana. Sarà per cultura, sarà per la possibilità di cogliere molte più sfumature dal testo, ma amo la musica italiana e credo che ci siano diversi artisti ai giorni nostri che siano di altissimo livello. Serena Brancale, ad esempio, durante un seminario mi ha stravolto la visione che avevo della musica, ispirandomi moltissimo sulla ricerca ritmica e armonica. Un’altra che ammiro e amo particolarmente è Levante: ha un’eccezionale capacità comunicativa e i suoi testi sanno essere ricercati nelle parole ma diretti e incisivi come pochi. Ed ha un bellissimo gusto, in generale. C’è anche Frah Quintale, mi piacciono un sacco le metriche da rapper che usa e nella sua semplicità ha tanto da dire.
Roberta Usardi
https://www.instagram.com/moijesuisindigo/
https://www.facebook.com/moijesuisindigo/