Incontri di drammaturgia: “Stormi” di Marco Morana allo Spazio Banterle di Milano
2 dicembre 2019: Secondo incontro di “Il Copione”, evento promosso dall’Associazione “Situazione Drammatica” presso lo “Spazio Banterle”
Se l’obiettivo dell’evento “Il Copione” era un coinvolgimento del pubblico nella “Nuova Drammaturgia”, promuovendo una sensibilizzazione alla parola poetica, possiamo affermare che il testo “Stormi”, scritto e presentato il 2 dicembre presso lo “Spazio Banterle” da Marco Morana, si è fatto carico con successo di questo compito, rivalutando un teatro capace di coinvolgere e stimolare riflessioni in un pubblico che partecipa in prima persona all’analisi testuale con l’autore. L’evento infatti cerca di porre l’attenzione su quel limbo poco conosciuto che c’è tra la stesura del testo e l’effettiva realizzazione teatrale, ponendo la platea di fronte alla semplice lettura del testo e lasciando, in seguito, la possibilità di interagire e discutere con gli attori e l’autore stesso.
Di fatto il pubblico, dopo la lettura del copione a cura di Marco Bonadei, Giorgia Senesi e Alice Spisa, ha dialogato esprimendo i propri dubbi e congetture intraprendendo un percorso di comprensione e di discussione dei temi, dei messaggi, ma soprattutto delle domande proposte da Morana nel portare per iscritto il tema attuale del “fine vita”. La storia si rifà al caso francese di Vincent Lambert, uomo caduto in uno stato di “coscienza minima” a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2008, il cui decesso tramite sospensione dell’alimentazione è avvenuto nel 2011 dopo l’approvazione del tribunale, che vedeva contrapposte la posizione della madre (pro vita) e della moglie del defunto, in un dubbio etico che ha smosso la coscienza del mondo intero. Il testo parla di Samuel, anch’egli nella stessa condizione, però ambienta i fatti in un tempo e spazio imprecisato, permettendo all’autore di fondere la dimensione privata con quella pubblica, presentando in maniera cruda e diretta i dubbi e le contraddizioni dei personaggi, sorti in una situazione di forte stress in attesa di una fine.
Dalla discussione avvenuta durante l’evento spicca in primo piano il tema “familiare” del conflitto intrinseco, tra la famiglia di “sangue” (la madre Anna) e quella che potremmo definire “propria” (la moglie Sara), nel quale ogni persona del pubblico potrebbe rivedersi e immedesimarsi. L’opera, infatti, non promuove una posizione precisa riguardante il dilemma etico, ma si fa carico di quella che l’autore stesso ha definito la “quintessenza del teatro”, ovvero la volontà di stimolare una criticità e una riflessione personale, senza tralasciare alcuna possibilità di pensiero. Il fulcro del testo è “l’umanità”, che sorge a seguito di un processo catartico dei personaggi e del pubblico stesso, accompagnato da una lenta, ma irreversibile crisi delle convinzioni personali e da una immediata presentazione delle “contraddizioni intrinseche” proprie dell’animo umano.
Il teatro presentato da Morana è a tutti gli effetti un “luogo altro” o un “luogo della coscienza”, nel quale permettersi forzature e libertà capaci di scuotere il pubblico, ponendo in ognuno il senso del dilemma al fine di suscitare una reazione. Durante la discussione sorge dalla platea un rifiuto iniziale verso il dubbio e l’incertezza di una posizione giusta o sbagliata. Tuttavia, come nel teatro greco, il processo di comprensione porta alla contrapposizione tra ideale e realtà, focalizzandosi sulla diatriba individuale tra ciò che si dice e ciò che si fa realmente. Ad esempio, con la presentazione forte dell’atto carnale tra la moglie Sara e “l’inerme” Samuel, non si vuole mostrare l’effettiva messa in scena dell’atto d’amore, ma evidenziare un momento poetico in cui il pubblico possa comprendere il bisogno della donna di un contatto, ormai impossibilitato, con quello che è ancora suo marito. Infatti, nonostante Samuel sia vivo in scena, il pubblico è ben conscio della surrealità della situazione, tant’è che si pone l’attenzione sul processo di immaginazione e immedesimazione nell’ambivalenza di Sara, che desidera ancora sentire il marito pur volendo porre fine alle sue sofferenze. L’efficacia del tutto è promossa dalla lettura diretta del copione senza l’effettiva messa in scena, che porterebbe inevitabilmente con sé il filtro della regia.
Il confronto finale con gli spettatori, inoltre, mette in evidenza il tema del conflitto intrinseco all’opera, che è palpabile durante la serata, il quale pone tutti in una stasi opprimente e costante e che accomuna, ma allo stesso tempo isola, ogni membro della platea, mettendolo sullo stesso piano dei personaggi. Di fatto l’autore stesso descrive il sentimento collettivo col termine “agonia” intesa sia come “lotta” dal greco (ἀγωνία), che come attesa di una fine, la quale pone i presenti in uno stato di “paralisi” e di “solitudine”. La rottura costante delle proprie convinzioni accomuna gli stessi protagonisti, i quali utilizzano lo scontro come unica forma possibile di comunicazione e affermazione dei veri e propri desideri umani. Nelle parole stesse di Anna e di Sara si ritrova la loro stanchezza, la loro incapacità di andare oltre le proprie convinzioni, ma anche la loro voglia di tornare a vivere e la necessità di assecondare i loro bisogni primordiali. Le due donne effettivamente sono presentate inizialmente come radicate fortemente nelle loro posizioni, tramite anche una autocertificazione (la madre come cattolica e ancorata al concetto “io ti ho fatto, io ti disfo”, mentre la moglie ancorata al concetto “sei il mio uomo, sei la mia carne”, come unica persona che crede di conoscere veramente il marito e agisce secondo la sua volontà), cosa che le porta a una testardaggine e ad una incapacità di immedesimazione nell’altra. Ciò nonostante, nella crescita del dubbio, rappresentato dallo stesso Samuel, che provoca e stimola le due verso una reazione e una realizzazione di loro stesse, viene mostrato come esse stesse, stremate, vadano avanti per inerzia nella loro lotta. Attraverso i ricordi delle due protagoniste, la platea è partecipe di come l’una sia ancora agganciata all’istinto materno che porta all’accudimento del figlio (ben rappresentato nel racconto della favola della buona notte, che spezza il testo dandoci uno scorcio della vita nell’infanzia di lui), mentre l’altra ha un bisogno carnale del marito ed è ancora ancorata alla necessità di ricordarsi gli ultimi istanti rappresentativi del rapporto coniugale (descritto metaforicamente dal ricordo dell’ultimo momento assieme e del dubbio di Sara sul fatto che stesse mangiando una “bistecca” o un “hamburger”). Tuttavia è lo stesso Samuel che mette in risalto le contraddizioni di questi momenti, rappresentando il bisogno delle due di tornare a vivere. Quest’ultimo, infatti, i interroga insistentemente l’una sulla sua possibilità di un nuovo contatto umano con questo Ivan, che sembra dimostrare interesse nei confronti della madre, mentre forza l’altra a ricordare il litigio presente nell’ultimo momento passato assieme e cercando di farle dire quel “fan**lo” liberatorio che Sara non ha mai detto durante la loro vita di coppia. A questo punto l’attenzione degli spettatori è indirizzata verso il dolore delle donne, o meglio verso l’abitudine alla sofferenza (espressa ormai dall’incapacità delle due di piangere) che le porta in uno stato di alienazione e abnegazione, sia nello stato mentale assimilabile alla pazzia, che nella vita quotidiana. Samuel in questo modo rappresenta il contatto tra le due, non solo come ciò che le accomuna ma nella realizzazione, come proposto dallo stesso Morana, della loro “umanità nella morte”.
Nel dibattito effettivamente sorge il paragone tra “egoismo” (sano) e “umanità” e la realizzazione dell’obiettivo dell’autore nel creare anche negli spettatori stessi contraddizioni e dubbi. Concetto che viene rimarcato nell’ambivalenza della figura di Samuel, che nel testo salta tra l’essere la proiezione mentale in scena per le due donne e l’essere il giornalista quasi disumano, che continua ad interrogare le due in uno spettacolo grottesco di accanimento sociale. Di fatto l’intromissione quasi violenta del “pubblico televisivo” nella vita privata delle due protagoniste è assimilabile sia all’interesse morboso della platea di conoscere la psiche profonda delle due vittime, ma anche alla volontà di scoprire quell’ “insoluto” che le due non vogliono affrontare. Come Morana stesso rivela durante la discussione, il personaggio di Samuel e il personaggio del giornalista sono effettivamente la stessa voce che rimane sospesa tra “verità” e “irrealtà”, che ha come unico intento quello di provocare. L’autore stesso lo definisce “giullare” capace di smascherare il fatto che l’interesse finale di Sara e di Anna sia quello di rifarsi una vita e abbandonare la situazione per loro sempre di più insostenibile. Il pubblico, inizialmente attonito, viene portato ad una riflessione profonda sulla differenza tra ideale e realtà. In questo modo si crea lentamente la consapevolezza che chiunque criticherebbe l’abbandono e infatti le donne non lascerebbero mai Samuel in balia della situazione, ma umanamente il desiderio delle due di una fine è comprensibile, visto come l’esemplificazione della loro volontà di sopravvivere, o almeno di tornare a “vivere” veramente. Così facendo le contraddizioni intrinseche della madre e della moglie si riflettono in una dualità del pubblico stesso, intento ad analizzare la differenza su ciò che si proclama stando esterni ad una situazione drammatica e ciò che risiede nell’intimità profonda di tutte le persone e che si ha paura a confessare. In seguito il confronto viene reindirizzato, anche da Morana stesso, verso una critica alla società attuale basata su una conoscenza quasi volatile e futile promossa dai Social, rivalutando nuovamente il teatro come luogo in cui le idee vengono messe in crisi e ci si obbliga ad un’analisi più profonda della realtà e di noi stessi. Di risposta infatti l’autore non vuole arrogarsi il diritto di dire ciò che è giusto o sbagliato, ma, richiamando la catarsi intrinseca nella tragedia greca, promuove l’espressione di idee anche contrastanti e opinione in evoluzione.
L’evento stesso pone l’esperienza personale dell’autore e di tutti gli spettatori come strumento fondamentale per il coinvolgimento e la comprensione della lettura del testo ma anche e soprattutto di se stessi. Tramite l’entusiasmo finale del pubblico si comprende l’intento ultimo dello scrittore di lasciare un senso di vita e di solidarietà anche nell’affrontare quel sentimento comune di “agonia”.
Andrea Zacchetti