Siamo tutti in attesa di giudizio?
“Ma il processo? Ha il processo uno scopo? Non si dica, per carità, che lo scopo è l’attuazione della legge, o la difesa del diritto soggettivo, o la punizione del reo, e nemmeno la giustizia o la ricerca della verità: se ciò fosse vero sarebbe assolutamente incomprensibile la sentenza ingiusta, e la stessa forza del giudicato, che copre, assai più che la terra, gli errori dei giudici”. Salvatore Satta
Il processo, i paradossi fra le regole e le forme di cui si sostanzia e il suo carattere metafisico, sono in scena al Teatro Giovanni Verga di Catania fino al 14 gennaio in due spettacoli che si svilupperanno in modo consequenziale – senza pause o cambi di scena – È una commedia? È una tragedia di Thomas Bernhard e In attesa di giudizio di Roberto Andò.
Già all’ingresso in sala, lo spettatore viene accolto dalla dicotomia di elementi complementari eppure antitetici su cui si snoderanno entrambe le rappresentazioni. Attraverso le grandi toghe porporate che dall’alto dominano e compongono la ricca scena in cui Gianni Carluccio mette in evidenza l’egemonia del provvedimento giurisdizionale sul provvedimento legislativo; e mediante l’esibizione del gorilla, una fra le tante immagini illusorie che – mandando in frantumi la quarta parete – esplora la platea e le anticipa in che grado bisogna essere compartecipi al logorio del giudice. Gli interrogativi sulla giustizia del processo, sulla sua incisività iniziano fin da subito a coinvolgere la riflessione attraverso la figura di un assassino, Filippo Luna, che – nonostante abbia già espiato la sofferenza comminata dalla legge per l’omicidio di una donna – non riesce ad autoassolversi dalla pena che gli infligge la sua coscienza.
La triade del procedimento e le coppie di vittima e carnefice, pur ponendo dinnanzi al giurista – interpretato magistralmente da Fausto Russo Alesi – degli interrogativi morali su cui arrovellarsi senza sosta, sono contemporaneamente pedine del suo pensiero che egli cerca di condurre finché il caos prevarrà sulla logica. In questi intermezzi, si percepisce la sensibilità del regista che si affida alla carezzevole voce di Simona Severini per smorzare i complessi e pensosi dialoghi, tratti dal rimaneggiamento de “Il mistero del processo” del giurista Salvatore Satta.
Un’opera di estrema sensibilità, in cui – tra tante incertezze – si svela che, nonostante ciascuno sia intimamente innocente e vuole essere giusto perché riconosce nel giudizio un momento eterno, esiste una vera e propria vocazione del nostro tempo a vivere senza il diritto.
Chiara Principato