IMPERDIBILE MARILYN – DONNA, MITO, MANAGER la mostra al Palazzo degli Esami di Roma fino al 30 luglio
Una mostra diversa, quella al palazzo degli Esami di Roma, che – oltre all’esposizione di oggetti, abiti e documenti della diva di Hollywood – riesce ad avvicinarci all’animo e alla sensibilità di Marilyn Monroe. Merito sicuramente del curatore italiano Fabio Di Gioia e del collezionista d’arte tedesco Ted Stampfer che, sin da giovanissimo, ha dedicato e dedica la sua vita a circondarsi di effetti personali dell’attrice americana e che ne ha messo qui a disposizione ben oltre 300.
Un’esposizione di livello internazionale in cui troviamo abiti famosi consunti dal tempo, trucchi e forcine, gioielli e materiale cinematografico, lettere e libri appartenuti a questa donna che – con la sua femminilità e la sua determinazione – segna un’importante tappa per l’emancipazione femminile all’indomani della seconda guerra mondiale; un momento che si rivela importante e necessario per il legame che si creò, in quel periodo storico, tra le produzioni cinematografiche italiane del Neorealismo e l’impatto positivo che le stesse ebbero sul pubblico statunitense: emblematico, per questa connessione culturale, è la consegna a Marilyn Monroe della Targa del David di Donatello da parte di Anna Magnani all’istituto di Cultura Italiana a New York.
Se tralasciamo l’effetto provocato dall’impatto visivo di avere di fronte oggetti che solitamente abbiamo visto solo su riviste o cartoline, le cose che – a mio avviso – colpiscono di questa mostra sono due: l’essenza e l’assenza. L’essenza emanata dai vestiti, dalle immagini, dalla sua voce, dai sui sorrisi impregna le sale e ce ne fa notare irrimediabilmente l’assenza.
Cosa ci resta? Un velato senso di nostalgia, come se mentre ci allontaniamo, alle nostre spalle all’interno di quel enorme palazzo stessimo lasciando qualcosa che ci appartiene, una sorella.
Marilyn
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza,
e tu, povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri, i loro coltellini,
tu sorellina più piccola,
quella bellezza l’avevi addosso, umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non hai mai saputo di averla,
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Sparì, come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata e
così la tua bellezza divenne sua.
Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre così facilmente nudo.
E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci mendicanti di colore,
le zingare, le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma.
Sparì, come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata,
e così la tua bellezza non fu più bellezza.
Ma tu continuavi ad esser bambina,
sciocca come l’antichità, crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere,
si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente.
Te la portavi sempre dietro,
come un sorriso tra le lacrime,
impudica per passività, indecente per obbedienza.
L’obbedienza richiede molte lacrime inghiottite,
il darsi agli altri, troppi allegri sguardi
che chiedono la loro pietà.
Sparì come una bianca ombra d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico,
richiesta dal mondo futuro,
posseduta dal mondo presente,
divenne così un male.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: È possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?
Ora sei tu, la prima, tu la sorella più piccola,
quella che non conta nulla,
poverina, col suo sorriso,
sei tu la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.
da La Rabbia, 1963 – Pier Paolo Pasolini
Marianna Zito