“IMMACOLATA CONCEZIONE” AL TEATRO INDIA
L’innocenza da praticare in privato, al riparo da occhi indiscreti, e la violenza da consumare pubblicamente come strumento di affermazione di se stessi, in un contesto sociale che non rispetta nessuno, che non prevarichi chiaramente e senza esitazione. Questo l’humus culturale nel quale si sviluppa “Immacolata Concezione”, spettacolo della giovane e già affermata compagnia siciliana “Vucciria Teatro” che, proprio con questo lavoro, si è aggiudicata la vittoria dell’ultima edizione de “I Teatri del Sacro”. Joele Anastasi, regista e drammaturgo della pièce, oltre che attore insieme ai suoi colleghi Federica Carruba Toscano, Alessandro Lui, Enrico Sortino e Ivano Picciallo, crea – a partire da un’idea della stessa Carrubba Toscano – un mondo in cui, più che i personaggi, trovano vita delle vere e proprie funzioni.
Il Parroco, il Capo Mafia, lo Scugnizzo, la Matrona tenutaria della casa del piacere e, infine, Concetta, unico barlume di umanità di un universo popolato da regole alle quali non si deroga, sulle quali non si discute, che vanno rispettate e preservate nei secoli dei secoli. Il personaggio della ragazza “Babba”, davanti al quale tutti indietreggiano per un malcelato senso di inadeguatezza e, allo stesso tempo, avanzano alla ricerca di una salvezza che il mondo non concede loro, svenduta dal padre per una capra gravida che gli permetterà di rimettersi in sesto, diventa il centro focale puro e senza sovrastrutture dell’intera vicenda. La ragazza è il porto sicuro, l’isola felice, un giardino dell’eden, dal quale non si viene scacciati ma solo benevolmente accolti. E in tutto ciò nulla c’entrano i corpi che possono dare e ricevere piacere attraverso il sesso perché, nonostante quelle tende della casa ripetutamente e ciclicamente chiuse per negare lo sguardo allo spettatore, nulla pare accadere in quel senso. È una guerra tra disperati, ognuno per un motivo diverso, non esattamente in conflitto tra di loro quanto con un sistema che li vuole imprigionati in ruoli dai quali non si può fuggire e che, soprattutto, non si è scelto.
Solo la fanciulla, data via in cambio di una bestia da macello, balla, secondo l’aforismo nietzschiano, al suono di una musica che nessun altro riesce sentire e nell’apparire diversa conduce sino alla fine la sua esistenza, non rinunciando a nulla di ciò che la accade e generando vita da sé, per sé e per gli altri. D’altronde occorre essere coraggiosi per sostenere sulle spalle l’insostenibile leggerezza dell’essere. E in questo caso ad insegnarcelo non è Kundera ma Colapesce, protagonista della favola il cui racconto attraversa tutta quanta la rappresentazione, fino al punto di chiuderla.
Si esce dalla sala con un senso di compiutezza rispetto alla scrittura ma con una serie di domande in merito alla loro attuazione. È giusto ridurre l’attore a un’immagine prestampata? È giusto forzare in uno schema una regia pulita ma che, alla lunga, smette di sorprendere? Se dovessimo rimetterci alle decisioni del pubblico in sala, le risposte sarebbero deducibili dai lunghi applausi rivolti alla compagnia.
Al Teatro India di Roma, fino a domenica 23 febbraio.
Giuseppe Menzo