“Il vestito azzurro” – Storia di un regime dimenticato
Antonella Napoli, giornalista e analista di questioni internazionali, ha di recente pubblicato “Il vestito azzurro. Un regime dimenticato e il coraggio di una giornalista” (People, pp. 152, euro 16), in cui racconta la sua recente esperienza in Sudan.
Un regime dimenticato
Antonella arriva a Khartoum da Roma i primi di gennaio 2019. Il Sudan era da anni alle prese con una forte crisi economica; eppure, appena uscita dall’aeroporto, Antonella percepisce un clima diverso, cupo, di disperazione. Inflazione record, sistema produttivo al collasso, generi alimentari anche di prima necessità che scarseggiano, servizi educativi e sanitari che, causa recessione, restano accessibili solo per i ricchi. È una situazione al limite, forse già oltre, che spinge a organizzare dimostrazioni, prontamente represse dal Presidente al-Bashīr, ex generale arrivato al potere con un golpe nel 1989. Presidente che, nonostante il mandato di arresto internazionale spiccato nei suoi confronti, continua indisturbato a girare il mondo, e soprattutto a usare il pugno di ferro per contenere il malcontento dilagante. Pugno mostrato anche alla stampa, tanto estera quanto (e soprattutto) locale. Ma l’insurrezione stavolta pare inarrestabile e i movimenti anti-Bashīr chiedono democrazia e libertà. Questo, in un regime che istituisce la Sharia, la legge islamica, quale sistema giudiziario del Paese, salvo poi, nel 2012, ridimensionare l’influenza dell’Islam per compiacere i nuovi alleati occidentali.
La stessa Antonella resterà direttamente coinvolta nelle dure azioni di stroncamento messe in atto dal regime: verrà infatti fermata e interrogata (intimidita verrebbe da dire) dai servizi di sicurezza istituiti e dotati di ampi poteri di azione. Antonella, a differenza di molti colleghi e cittadini comuni, è fortunata. Grazie a un messaggio che riesce a inviare via cellulare, parte una macchina di aiuti internazionale e locale che porteranno alla sua liberazione nel giro di poche ore. Ciò non rende l’episodio né meno grave né meno scioccante. Nonostante il plausibile timore e le precauzioni del caso, Antonella decide di portare avanti i motivi per cui è arrivata in Sudan: incontrare alcuni esponenti dei movimenti di protesta; andare nei campi profughi del Darfour. Proprio qui, farà incontri con donne spezzate, umiliate da una guerra che nemmeno conoscono, e in più ripudiate dalle famiglie.
Il regime di al-Bashīr viene rovesciato nell’aprile 2019. Ad agosto 2020, si arriva a un governo di transizione guidato dall’economista Abdalla Hamdok. Antonella, nonostante le minacce di morte ricevute dai Fratelli Musulmani dopo il suo fermo, tornerà in Sudan per testimoniare questo nuovo tentativo di rinascita.
Fare luce in un Paese di ombre
Antonella Napoli ha il grande merito di aver fatto, e fare, luce su un Paese spesso dimenticato. In particolare, il suo fermo del 2019, porta alla ribalta della stampa occidentale, quantomeno quella italiana, il drammatico scenario di oppressione e povertà in cui verte il Sudan. Mette nero su bianco quello che si ripete sempre uguale e drammatico in tutte le guerre: la violenza, l’inconsapevolezza di quella violenza.
I civili del Sudan sono persone come noi. Si interessano di politica quanto ce ne possiamo magari interessare noi, ma è umanamente inconcepibile che quella stessa politica di cui poco si sa, capisce o interessa, porti a violenze inudite, alla distruzione di tutto, alla fame. Sono, ancora una volta, soprattutto i racconti di violenza sulle donne a lasciare impietriti. Antonella lascia emergere il dramma di un retaggio culturale più forte ancora della violenza. Le donne stuprate, peggio ancora se restano incinte, vengono isolate e ripudiate, in primis dalle famiglie. Lascia altrettanto allibiti, e carichi di domande, il ruolo ambiguo che si attribuisce alla religione: oggi legge, domani merce di scambio con l’occidente. Antonella però vuole darci anche un barlume di speranza: a Khartoum ad avere un ruolo di rilievo nei movimenti di protesta sono proprie le donne che combattono per sé e per quelle del Darfour che non hanno mezzi o forza per farlo.
Sono poche le pagine del libro e molte le cose da dire. Tra queste, due importanti messaggi: ricordarsi che chi lascia il proprio Paese, quasi mai lo vorrebbe. Cosa vorrebbe davvero? Un vestito azzurro, la normalità, la pace. E ancora, l’importanza di essere consapevoli del mondo nella sua interezza: “Non esiste crisi, conflitto o inganno che non viva della propria segretezza. Portare alla luce questi segreti, descriverli, renderli visibili a tutti, forse non è di per sé sufficiente, ma è l’unico mezzo affinché il tentativo di oscurarli fallisca”.
Laura Franchi