Il testamento teatrale di Pirandello secondo la geniale regia di Lavia
Dal 13 novembre a 1° dicembre, per un totale di ben diciassette repliche, Gabriele Lavia ha portato a Torino la sua versione dell’ultimo testo teatrale di Pirandello. Si tratta dunque della sua opera più metafisica, tanto ostica all’apparenza quanto semplice nel concreto della sua interpretabilità. “I giganti della montagna” viene spesso definito come il testamento del drammaturgo, e questa etichetta trova una sua giustificazione su svariati assi d’analisi: innanzitutto Pirandello, mentre scriveva, s’avvicinava alla morte; era il 1936, e il figlio Stefano lo aiutava a traslare il pensiero sulla carta. Però il senso di testamento emerge più che altro nel momento in cui il lettore – che già conosce bene il Pirandello più giovane e più rappresentato – si rende conto che l’autore gli sta riassumendo tutto il suo pensiero in un’unica opera. Ne I giganti della montagna c’è tutto: la persona intesa come maschera, la polimorfia delle identità e il conseguente relativismo conoscitivo, le crisi dell’io, il sentimento del contrario, l’incomunicabilità, la follia, la gran matrioska del metateatro. Lavia, abile veterano del dramma, si sobbarca tutto questo, e dopo aver firmato la regia sceglie quasi di impersonare l’autore stesso. D’altronde lui è Cotrone, il mago-mentore nato dalla penna di un Pirandello che voleva crearsi un alter ego tragico ma anche umoristico, a tratti commovente, talvolta doloroso. Una triangolazione accattivante, insomma.
Il Teatro Stabile, di cui Lavia in passato è stato anche direttore artistico, ha ospitato dunque la sua riuscitissima messinscena, nata dalla convergenza degli sforzi del Teatro della Pergola in coproduzione con lo Stabile stesso e col Biondo di Palermo. Siamo al Carignano, lo spazio di fine Seicento gestito dallo Stabile da quasi settant’anni. Il sipario si spalanca ed emergono gli Scalognati, qui intesi come gli eccentrici ed esagitati abitanti di un teatro abbandonato e fatiscente ai confini del mondo. Li guida un Cotrone in fez, camicione e scarpe da ginnastica, folle tra i folli, e per un attimo il velo di maya si assottiglia così tanto che gli spettatori possono scorgere Pirandello stesso mentre arringa gli astanti sul senso dell’arte e della vita. E dal corridoio tra le poltrone della platea arriva Ilse, la contessa, con la sua compagnia di gente meno svalvolata, ma comunque interessante. Un cast enorme, quasi venticinque tra attori, attrici, mimi, danzatori, tutti riuniti sotto l’egida autorevole di una regia oggettivamente inappuntabile. Le lodi, però, vanno tessute anche per molti altri, a partire da Federica Di Martino, che interpreta e affronta Ilse con la consapevolezza di chi sa di incarnare un’idea prima di un personaggio: lei è una teatrante, ma è anche l’arte stessa, e vorrebbe stare tra gli uomini, che però in molti casi sono diventati dei giganti gretti, incapaci di percepire, di evolvere, di comprendere. Encomiabilissima, poi, Nellina Laganà, che veste i panni della Sgricia, e in generale tutti gli altri artisti: gli Scalognati – Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marika Pugliatti, Beatrice Ceccherini; gli attori della compagnia di Ilse – Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro; e i fantocci metateatrali – Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia. Geniale la scenografia, che al Carignano funziona particolarmente bene perché rende perfettamente ovale il sistema di palchi e balconi che di solito stanno solo dalla parte degli spettatori e che qui, invece, diventano una curva continua e conclusa. Più che graziosi i costumi di Andrea Viotti, eccezionali le musiche di Antonio Di Pofi, felliniane le luci di Michelangelo Vitullo.
Un’occasione splendida per conoscere o approfondire un’opera difficile che peraltro, in questo caso, viene resa accessibile a chiunque abbia voglia di lasciarsi trasportare dalla poetica sarabanda pirandelliana. Ora questa versione de I giganti della montagna è in tour, e passerà ancora da Palermo, Rieti, Bologna, Napoli, Messina, Catania. Non perdetela.
Davide Maria Azzarello