Il tema della fede in un momento di emergenza e paura: Valeria Wandja è protagonista dello spettacolo teatrale “Safe” – L’intervista
A Roma tra pochi giorni, precisamente dal 20 al 22 novembre, sarebbe andato in scena al Teatro Trastevere lo spettacolo “Safe”, prodotto da FMG, scritto e diretto da Federico Maria Giansanti e interpretato da Valeria Wandja, un monologo che ha vinto come “Miglior spettacolo” e “Premio del pubblico” al Great Salt Lake Fringe Festival di Salt Lake City (Utah). Un testo che ha molti rimandi alla situazione attuale, sia pratici, sia emotivi, che portano a riflettere molto sul presente. La storia è quella di Sister Daisy, una suora bloccata dalla neve in una casa di montagna durante un rigido inverno, che cerca di sopravvivere aggrappandosi tenacemente alla propria fede mentre il mondo affronta un’epidemia mortale. Abbiamo fatto qualche domanda all’attrice protagonista Valeria Wandja per andare più a fondo dei temi dello spettacolo.
Ciao Valeria, quando hai iniziato a lavorare a “Safe”?
Ciao! Ho iniziato a lavorare a “Safe” a Luglio, quando Federico mi ha chiesto di far parte del progetto. L’idea di partecipare al Fringe è nata un po’ all’ultimo momento e abbiamo provato e montato tutto in due settimane; è stata un’esperienza intensa (soprattutto vestirsi da neve i primi di Agosto), ma ci siamo divertiti molto!
Durante il lavoro sul personaggio di Sister Daisy cosa hai scoperto in più rispetto al copione?
Sicuramente contattarmi con la sua solitudine è stato più facile “grazie” all’esperienza della quarantena, ma molto del lavoro è stato fisico: il freddo, l’ambiente, le relazioni con gli altri personaggi, le sue preghiere… sono tutti elementi impossibili da provare realmente leggendo solo il copione. Solo sul palcoscenico è stato possibile fare davvero esperienza del mondo abitato da Sister Daisy.
“Safe” ha debuttato in video per il Great Salt Lake Fringe Festival, che tipo di esperienza è stata senza il pubblico in presenza?
Particolare. In realtà non ero veramente sola: il giorno della registrazione, oltre a (ovviamente) Federico c’erano Gabriele Planamente (assistente alla regia), Francesco Giansanti (co-fondatore di FMG), Stefano Marrone (fonico), Flavia Baldini e Davide Manfrevola (riprese), che ringrazio immensamente. Da una parte il silenzio e il “vuoto” della sala hanno reso l’esperienza dell’isolamento ancora più intensa. Onestamente non vedo l’ora di andare in scena con un pubblico, perché è una parte fondamentale dell’esperienza.
Nello spettacolo Sister Daisy cerca conforto e sostegno nella sua fede e ribadisce “finché c’è fede non ci saranno problemi”, quanto pensi che la fede o la fiducia possano influire sull’equilibrio psicologico?
Penso che il percorso di Sister Daisy nello spettacolo sia molto simile al percorso che ho avuto io (e forse molte altre persone) durante questi ultimi mesi: la fede e la fiducia possono essere un’arma a doppio taglio. È ciò che le permette di andare avanti, ma nell’affidarsi si aspetta di ricevere prima o poi un segno, una risposta (una ricompensa?). Quando pensava di aver toccato il fondo e viene messa di nuovo alla prova, crolla. E per rialzarsi le servirà una prospettiva differente. Quindi sì, sicuramente può essere utile avere fiducia per trovare un equilibrio, ma con la consapevolezza che gli equilibri cambiano continuamente.
La storia di Sister Daisy non ha un background felice: il troppo dolore l’ha messa di fronte a due strade: resistere o affondare. Lei ha scelto la via più ardua, ovvero Dio, farsi forza e resistere. Pensi che la scelta di Sister Daisy sia stata anche supportata dal senso di colpa o dal fatto di potersi occupare di qualcuno e che qualcuno potesse occuparsi di lei?
Non penso sia stato il senso di colpa ad averla portata sulla “via più ardua”. Penso che, avendo avuto una vita così difficile, trovare un senso per andare avanti sia stato per lei altrettanto difficile. Che quindi, come dice lei stessa, svagarsi o vivere una vita “normale” non sarebbe stata per lei un’opzione plausibile per superare i suoi traumi.
In scena ci sei solamente tu, ma sono tre i personaggi, quanto sono “reali” e quanto un ipotetico frutto di un’allucinazione di Sister Daisy?
Aiuto, non avevo pensato a questa possibilità! Potrebbe partire un dibattito al riguardo, dato che da attrice effettivamente “li sto allucinando” e sono da sola, ma indubbiamente l’idea della loro presenza conforta molto Sister Daisy. Del resto anche Dio non dà “segni di vita” durante lo spettacolo. È presente, o è importante sapere se c’è “davvero”? Penso che ognuno possa scegliere la sua interpretazione.
Il concetto di sicurezza è associato alla casa “stay safe, stay home” come adesso, ma quanto questo corrisponde al vero?
“Stay home, stay safe” suona come una promessa, ma credo che questo testo insegni che affidarsi troppo alle promesse può essere pericoloso; che spesso non esiste una formula magica (o religiosa) per affrontare le situazioni tragiche, e che forse Sister Daisy ha bisogno di trovare le sue piccole risposte giorno per giorno.
Roberta Usardi
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