Il teatro in miniatura: la collezione di Mario Bagliani in mostra ai Bagni Misteriosi
“Il teatro è tutto”, diceva Mario Bagliani, un uomo che per il teatro era nato e vissuto. Un attore libero.
Per il 50esimo, il Teatro Franco Parenti di Milano accoglie ai Bagni Misteriosi fino al 27 novembre, l’esclusiva collezione di marionette, burattini e teatrini di Mario Bagliani, dal titolo “Il teatro in miniatura“, testimonianza del suo infinito amore e della sua grande passione per il teatro. Si ringraziano le figlie Elisabetta e Francesca Bagliani che hanno concesso e curato questa mostra.
Mario Bagliani (1926 – 1990), teatrante per vocazione e assicuratore di professione dichiarata, “Ho fatto il mimo con il maestro di Marceau e di Bareault. Suo padre gli diceva di far qualcosa di serio. Se l’era sentito dire da suo padre anche Goldoni, ma io non ero Goldoni. Ricevette il 1° premio come attore giovane a Pesaro nel 1956: faceva l’amoroso negli “Innamorati” di Goldoni. Tra il 1947 e il 1948, fondò con alcuni amici il Centro studi artistici “La Giostra”, che teneva i suoi spettacoli in via Filangeri, nel teatrino degli Olivetani, o al Teatro della Cassa di Risparmio, in via Arco. In seguito, per motivi molto contingenti, la strada di Bagliani è cambiata. La passione però è rimasta intatta. Così ha cercato un’attività che gli facesse da sponsor col gruppo della “Giostra” diretto da Adriano Vercelli; era in contatto con l’élite della cultura italiana da Bacchelli ad Apollonio, da Valsecchi a Testori a Levi, e recitava sulle scene degli Olivetani, in via Filangeri a Milano. E agli inizi, l’imitazione del Cardinale Schuster, la prima infanzia, a cinque anni l’imitazione dal gagà, le prime esibizioni con gli attori tra il pubblico. Poi Il Centro Brianteo, per dieci anni a Casatenovo in Brianza, dal ’65 al ’75, alla Salmoiraghi, alla Vismara, quando per far teatro si smontava la mensa aziendale e alle ultime battute entrava il cuoco: “Metto giù il riso?”. Teatro attivo e vissuto e teatro visto ed amato anche attraverso una straordinaria collezione di marionette, burattini, maschere, teatrini, lettere, manifesti, monete raccolte con un amore ricambiato dagli stessi oggetti perché sempre li trasformava facendoli vivere e operare. Sulla storia terrena di Mario Bagliani è calato il sipario la Vigilia di Natale del 1990. I diorami che vedete accesi sul palcoscenico furono esposti il 3 dicembre 1987 nel museo teatrale della Scala prima che si inaugurasse la stagione lirica con il Don Giovanni di Mozart. La mostra si intitolava La camera dei sortilegi di cui Giorgio Strehler curò la regia dell’evento. Diede questo nome a un qualcosa che non è una mostra, non è una raccolta di documenti ma un invito all’immaginario. Scatole di sortilegi, palcoscenici minuscoli dove si svolgono eventi tragici o allegri. Ritagli di carta fatti 200 anni fa. Servivano a far sognare.
La mostra
Tra i diorami teatrali di Engelbrecht, bellissime marionette viennesi in biscuit colorato, burattini futuristi degli Anni Venti raffiguranti personaggi come D’Annunzio, Mussolini, Giolitti, Vittorio Emanuele, Don Sturzo e Nitti, e teatri lignei, la mostra si compone di tutti quei meravigliosi oggetti che hanno trasformato la casa di Bagliani in un vero e proprio spazio scenico.
Diorami
Per diorama (guardo attraverso) si intende una forma di spettacolo costituita da quadri o vedute che danno allo spettatore l’illusione di trovarsi di fronte a un panorama reale di fatto difinzione e dunque teatrale. Diorami teatrali, ma non teatrini perché diverso era il tipo di aspettativa e di rapporto con lo spettatore. Il creatore di immagini, tipografo in origine, stampatore e editore, trasferiva nelle tre dimensioni quello che già aveva creato per le due dimensioni. Utilizzando appunto il foglio della stampa per costruirsi un singolare spazio anomalo. All’inizio del XVIII secolo la produzione di stampe ad Augsburg si stava caratterizzando attraverso numerose edizioni di vedute e piante delle città europee che incontrarono enorme successo. Engelbrecht nacque ad Augsburg in Baviera nel 1684. Nel 1717 era già in grado di fondare una propria casa editrice. I fogli venivano stampati partendo da lastre di rame incise all’acquaforte ed erano di carta sottile e resistente adatta al ritaglio. La coloritura avveniva a pennello, in una vasta gamma di colori brillanti. I formati dei diorami sono tre: grande, medio e piccolo. Dopo essere stati incollati al loro supporto, gli elementi del diorama venivano ritagliati.
Marionette
“Prestigiose, piccole creature, dotate fin dalla nascita dei favori delle fate, le marionette hanno ricevuto dalla scultura, la forma; dalla pittura, il colore; dalla meccanica, il movimento; dalla poesia, la parola; dalla musica e dalla coreografia, la grazia e la misura dei passi e dei gesti; infine, dall’improvvisazione, il più prezioso dei privilegi, la libertà di dire ciò che si vuole” anche criticando o ribaltando gli ordini sociali esistenti, in quanto maschere.
Le origini della marionetta sono antichissime e la storia testimonia che i primi spettacoli sono soprattutto legati a cerimonie religiose dove le marionette hanno la funzione di animare le divinità. La marionetta è un pupazzo fatto di legno, stoffa o altro materiale con un corpo snodabile che viene mosso dall’alto, tramite l’ausilio di fili collegati ad una croce di legno (o bilancino), retta da uno o più marionettisti posizionati una struttura chiamata “ponte teatrale”. La figura della marionetta veste abiti eleganti e con i suoi movimenti risulta aggraziata e raffinata. Il teatro delle marionette offre la possibilità di ricreare un mondo verosimile, dove i personaggi nascono come attori e possono interpretare ruoli diversi. Il repertorio è soprattutto musicale, composto da opere, melodrammi, balli e la colonna sonora è registrata o eseguita da un’orchestra dal vivo.
La parola “marionetta” potrebbe derivare dalle “Marie di legno”, ex voto offerti alla Vergine dai Veneziani per aver salvato dai pirati dodici fanciulle veneziane intorno all’anno Mille, o dalle grandi statue chiamate “Marione” (grandi Marie), fatte sfilare al posto di fanciulle scelte fra il popolo, alle quali la Serenissima avrebbe elargito la dote di sposa. Il Teatro di Marionette da sempre è considerato uno spettacolo riservato ad un pubblico raffinato, volto a stupire gli spettatori con artifici meccanici e con la grazia e l’eleganza dei movimenti stessi delle marionette, tanto da apparire quasi persone capaci di compiere esercizi impossibili all’uomo. Tante famiglie aristocratiche italiane del Settecento possedevano infattiin casa un teatrino di marionette, dove varie compagnie di marionettisti rappresentavano, riadattandoli, drammi, poemi epici e opere liriche.
Dopo la Rivoluzione Francese (1789), le marionette cessarono di essere esclusivamente un’attrazione per l’aristocrazia, rivolgendosi ad un pubblico borghese, con spettacoli in vari teatri di numerose città. A partire dal XIX secolo nacquero compagnie girovaghe e stanziali e, nelle grandi città, si svilupparono teatri popolari stabili per le loro esibizioni. Questi teatri diventarono accessibili ad un vasto pubblico che non poteva frequentare i grandi teatri lirici, dati gli alti costi, accontentandosi di piccoli riadattamenti di celebri opere.
I burattini
La presenza dei burattini in Italia è accertata da documenti che risalgono al XV e XVI secolo, ma si presume esistessero già fin dall’Epoca Romana, senza però essere distinti dalle marionette. Solo dall’epoca rinascimentale, infatti, burattini e marionette assumono due connotazioni differenti.
Dal 1400 i burattini sono usati da ciarlatani e venditori ambulanti come mezzo pubblicitario per la loro merce, al fianco di mestieri più o meno leciti o come spettacolo autonomo. Verso la fine del Settecento diventano interpreti di veri e propri spettacoli di compagnie girovaghe e stanziali. Dalle semplici farse si passa a rappresentazioni drammatiche e melodrammatiche. Il termine “burattino” deriva quasi sicuramente da “buratto”, una parola bolognese che designava una stoffa grezza di canapa che serviva per separare la farina dalla crusca e la stessa tela veniva usata per confezionare gli abiti dei burattini. Esso è composto da tre parti: testa e mani solitamente di legno, cartapesta, creta e veste di stoffa. Nel burattino tradizionale, la testa è sempre più grossa del corpo come ad indicare una caricatura dei volti, una sorta di esagerazione delle fattezze umane. Il burattinaio, nascosto all’interno della baracca (chiamata anche casotto o castello), infila la mano sotto al vestito muovendolo dal basso e dandogli le voci. Il linguaggio è semplice, immediato, ironico, comico e comprensibile a tutti. All’interno della baracca c’è sempre anche un’altra persona, che funge da aiutante per gli effetti speciali (fuoco, acqua, luci, musica, rumore delle bastonate).
Il teatro dei burattini si afferma dopo la Rivoluzione Francese: l’avvento del teatro Giacobino, con la sua poetica volta a salvaguardare la moralità e la dignità dell’uomo, mette in crisi le maschere della Commedia dell’Arte e tutto il loro repertorio, costringendole a “rifugiarsi” nella baracca dei burattini. Nel XIX secolo i burattini sono un fenomeno comune nelle piazze delle città, e diventano un’attrazione in grado di coinvolgere un gran numero di persone di ogni età, sesso, religione.
10 burattini futuristi
Sono i personaggi che richiamano le ideologie dei primi Anni Venti, trasformati in burattini da uno sconosciuto artista futurista, operante tra il 1920 e il 1922. In fondo c’è D’Annunzio, che pare stanco: gli occhi sono cerchiati di arancione, il suo volto è giallo e diafano per le amarezzee le delusioni. Alla sua sinistra Benito Mussolini lo guarda compiaciuto. Poi aggrotta le sopracciglia e sulla testa pelata si disegnano delle profonde rughe rosse che scendono fin sulle guance. Più in là si intravede la severissima espressione di don Sturzo, vestito con l’austera tonaca nera. Ha un nasone violaceo adunco, sorride agro agli altri burattini. È il nemico giurato del futurismo e della sua “violenza purificatrice”. E l’artista futurista si è vendicato facendogli spuntare sotto la papalina due orecchie a sventola e un perfido ciuffetto. Il fondatore del partito popolare conversa con Dina Galli, la famosa attrice milanese della compagnia Talli-Gramatica- Calabresi.
Con quegli occhioni sognanti rivolti al cielo rappresenta ilteatro “accademico e borghese”, ancora pieno di lacrime e di sentimentalismi. Di fianco c’è Re Vittorio Emanuele III. Il re “soldato” indossa una mantellina militare di panno verde. In mezzo algruppo ci sono tre tipi che si guardano in cagnesco. Il più truce è il diavolo, color rosso vivo… forse il comunismo sovietico, il “pericolo rosso” – con un mentone lungo lungo e le orecchie a punta che ne deformano il ghigno. Ha di fianco il fascismo, in camicia nera e fez. Il volto è affilato, lineare. Lo sguardo è deciso, privo di interrogativi o di dubbi di sorta. Lo squadrista aveva in mano un manganello, oggi andato perduto, per picchiare un ometto tondo, il Mondo. Èraffigurato come un borghese rispettabile in papillon e paglietta. È anche la caricatura del giornale liberale “Il Mondo”, diretto da Giovanni Amendola e Alberto Cianca. Era il giornale dei“benpensanti” che cercavano di opporsi all’illegalismo delle squadracce fasciste, la voce dell’opposizione costituzionale. Altri due nemici del futurismo se ne stanno in disparte sdegnati. Sono due gran signori in toga. Uno è Giovanni Giolitti, il vecchio saggio. L’altro è Francesco Saverio Nitti, (che D’Annunzio aveva ribattezzato Cagoia) con l’enorme pappagorgia sotto il mento. È ancora arrabbiato col poeta per la vicenda di Fiume e gli volta le spalle. Il fascismo – come era visto dai seguaci di Marinetti che ne erano sostenitori – picchiava il Mondofino a spaccarlo in quattro spicchi. Era la rappresentazione della concezione vitalistica che esaltava la temerarietà e il rischio contro i “panciafichisti” e i “piagnoni della democrazia pantofolaia”. Sono caricature che conservano una identità formale, anche se si vede la mano futurista dalla geometria delle linee che fanno le fisionomie dei personaggi. Era la voglia di ridere di tutto e di tutti: anche di Mussolini con la testa di burattino.
Le théâtre en miniature
Teatrino Francese, databile 1865 circa. Superbo giocattolo in miniatura con decorazioni straordinarie e particolari in notevole stato di conservazione. Un teatrino di legno a scatola che contiene le scenografie. Riccamente decorato e dipinto su carta. All’interno sono disposte cinque marionette senza fili con la testa in biscuit. Sul retro e sul fronte tre manopole che azionate fanno muovere le marionette in biscuit in senso orizzontale. È un teatrino assai raro.
Teatro da camera
Teatrino giocattolo da camera per rappresentazioni con 17 marionette del 1800 circa, porta una struttura lignea con scenografie dipinte su carta. Sul retro è visibile un cassetto che contiene il cambio delle scene. Le maschere di Arlecchino, Brighella, Pantalone, il Dottore, il Capitano, ricordano il grande repertorio della Commedia dell’Arte.
Baracchina/Guignol
Un teatro ligneo (Francia, fine XIX secolo/primi del XX) per bambini costruito in particolare per l’esibizione di burattini. La moda delle baracchine fu lanciata dai grandi magazzini francesi La Fayette alla fine del XIX secolo: acquistando i loro prodotti si raccoglievano un certo numero di punti che servivano a riscattare le baracchine Opera o Guignol. Le baracchine più belle valevano 12, 10 o 5 punti, mentre quelle più modeste, destinate quindi a clienti meno abbienti, 5 o 3 punti. Anche i grandi magazzini francesi Printemps seguirono questa iniziativa. La moda è durata fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Il teatrino porta la scritta Guignol. Guignol è un burattino francese nato a Lione nel 1808. Il suo creatore, Laurent Mourguet era uno dei numerosi canuts (operaio setaiolo) che, rimasto senza lavoro a seguito della Rivoluzione, si convertì in venditore ambulante e poi in “cavatore” di denti. Per attirare la clientela e coprire le grida dei suoi pazienti, divertiva la folla con burattini. Avendo esaurito il repertorio italiano di Pulcinella, passò, verso il 1805, al personaggio di Gnafron, calzolaio ubriacone, prima di creare Guignol nel 1808. Il testo era improvvisato, come furono gli attori della Commedia dell’Arte prima dell’uso del copione a fine Seicento, secondo l’umore del burattinaio e dei fatti del giorno e denunciava sorridendo le ingiustizie subite soprattutto dalla povera gente.
Il teatro in miniatura
curatela di Elisabetta e Francesca Bagliani
audio a cura di Diletta Ferruzzi
voce narrante Pietro Micci
musiche originali di Paolo Nicolò Ferraguti