Il teatro dell’assurdo e il cabaret in “Opera panica” al Teatro Franco Parenti
“Opera panica” di Alejandro Jodorowsky, regia di Fabio Cherstich, è una straordinaria opera in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 24 settembre al 13 ottobre 2019. In primavera il teatro ospiterà il secondo capitolo dello spettacolo, una nuova produzione da cui ci aspettiamo un altro straordinario successo.
Si tratta di 26 mini-pièce che fondono il teatro dell’assurdo e il cabaret comico e tragico, scene surreali e violente, che per certi tratti si potrebbero definire persino politiche. Dialoghi, canti, balletti e pantomime sembrano provenire dritti dall’inconscio e che forse proprio dell’io più nascosto vogliono parlarci, facendo affiorare ciò che di malato e contorto si cela nell’essere umano. L’universo di Jodorowsky è inoltre claustrofobico, poiché propone delle situazioni senza soluzione, che rivelano quanto sia grottesco e inetto il genere umano, ma a tratti anche dissacratorio, in quanto sembra trattare temi esistenziali con un’ironia disarmante. Non esiste una trama portante, ma tante situazioni paradossali che inducono a riflettere sull’insensatezza della condizione umana, sulla ricerca della felicità e sulla fatica di vivere.
In scena recitano quattro attori (Valentina Picello, Francesco Brandi, Loris Fabiani e Francesco Sferrazza Papa), rigorosamente vestiti in All Star nere, pantaloni neri, camicia bianca e bretelle, ma anche indumenti kitsch e coloratissimi come nella penultima pièce, quando viene portata in scena una parodia della televisione. I vari episodi sono intervallati da piacevoli e altrettanto tragicomici intermezzi musicali eseguiti dai DUPERDU (Marta Maria Marangoni e Fabio Wolf), che hanno scritto e interpretato le canzoni originali, cantandole su un piacevole sottofondo di carillon, con tono buffo ma anche straniante.
Le situazioni portate in scena sono tra le più svariate: tre nuotatori che non si decidono a tuffarsi per discutere su argomenti assurdi e paradossali e che, persi nel loro argomentare, non salveranno una persona che sta affogando in piscina; due persone che, pur volendo disperatamente litigare, non riescono a trovarsi in disaccordo e che decideranno poi di essere amici; un aristocratico oppresso dai propri servitori e dal fardello di comandare al punto da richiedere di essere percosso; persone che, grazie all’ipnosi, riescono a concepire profondi pensieri filosofici; una coppia in cui regna il maschilismo più brutale, che cena mentre un soldato sfila davanti a loro per condurre dei cadaveri al forno crematorio. Lo spettacolo parla anche della difficile condizione delle donne, come una fanciulla disposta a tutto pur di compiacere l’uomo, oppure una donna che vuole disperatamente rinunciare al proprio corpo. La scenografia è minimalista e costituita solo dagli oggetti essenziali per la realizzazione delle varie scene, come una sorta di carretto su cui Fabio Wolf suona una piccola tastiera, tavoli, sedie e un fucile con una canna talmente lunga da impedire che venga usato per suicidarsi, poiché è impossibile puntarlo alla propria tempia e contemporaneamente premere il grilletto. L’oggetto che colpisce maggiormente lo spettatore è un prisma deformante attraverso cui, in alcune scene, gli attori si rivolgono alla platea, assumendo una dimensione sacrale, onirica e spaventosa. Altri oggetti fondamentali sono la telecamera e la televisione, che sono trasformati in una sorta di personaggio inquietante, la cui opprimente presenza nel nostro quotidiano viene messa in discussione. Il momento cruciale dello spettacolo consiste nella richiesta di un personaggio in mutande e pattini in linea, che boicotta un programma televisivo per invitare gli spettatori a salire sul palco e a lanciare un urlo, forse per indurli a sentirsi vivi e prendere in mano la propria vita. Nessuno ha osato accogliere la richiesta, ma chissà cosa sarebbe accaduto se uno spettatore temerario avesse accettato di mettersi in gioco.
Valeria Vite