Teatro Comico di Roberto Latini, “defrost” di tanti avanzi di sogni
Nel Teatro comico di Goldoni a Milano, fra le parole, le storie e le relazioni scritte da lui, un (fisicamente) contorto Roberto Latini ci propone in veste di primo attore ma soprattutto di regista una valanga jazz, uno tzunami in levare. Un catalogo di suggestioni, immagini, citazioni e entità polverose, frammenti di sogni antichi che vengono scongelati per essere analizzati con cinismo.
Latini, al Piccolo Teatro Grassi di Milano, saltella fuori e dentro le posizioni che si è costruito: è Orazio, capocomico di un’antica compagnia, ma talvolta è Roberto, regista con maglioncino e occhiali che accavalla le gambe quando entra in modalità analitica, talvolta un cattedratico Carlo Goldoni, talvolta parla da prepotente e storto Arlecchino. I suoi attori Elena Bucci, Marco Sgrosso, Marco Manchisi, Stella Piccioni, Marco Vergani, Savino Paparella, Francesco Pennacchia giocano i lazzi e i doppi sensi sul bordone del suono della mosca invisibile, il ricco pasto dell’arlecchino servitore di Strehler. I loro personaggi, come rievocati in un maldestro incantesimo di resurrezione, cigolano, sempre più nevroticamente in un intricato gioco di specchi e alter ego suggerito dal meccanismo goldoniano stesso, in cui la vita di una compagnia di attori si fonde con quella dei personaggi che interpretano.
Tante solitudini trovano terreno comune nel volersi autolegittimare, autopromuoversi dalla condizione di maschere a quella di identità poetiche autonome. Il Caos si compiace della sua sovranità. Entità che urlano sui nervi dello spettatore il proprio diritto a esistere, e lui già dopo l’intervallo inizia ad accusare una certa asfissia. Manca l’aria, in modo familiare, come, nel nostro contemporaneo, manca l’aria nella frenesia drogata dei ritmi di Milano, o nella schizofrenia dei social, o nell’infido bombardamento di pessimismo da parte dei media. La trama sonora è complessa, Latini stesso ha composto il main theme e si è avvalso, oltre che di evocativi tappeti (come il legno di nave che scricchiola) del compositore contemporaneo polacco Z. Preisner. Canto lirico e Divina Commedia aggiungono “umore italiano antico” alla pozione.
In questo spettacolo, un pirotecnico e pericolante Arlecchino ti fa sentire perso; tra monopattini che tagliano lo spazio, controluce color ghiaccio, giochi di ripetizione ritmica (talvolta forzati piuttosto che davvero giocati) il sogno diventa anche incubo. Il flusso, inarrestabile, non ha una direzione. Da una parte ti viene sempre più voglia di lasciarti andare al “groove”, dall’altra ti induce il bisogno fisico e sprituale di “prendere fiato”. Ma potrai farlo fuori dalla platea, sembra dire, questo è affar tuo.
I.R.