Il solo luogo del mondo. “Museo Pasolini” di e con Ascanio Celestini a Trento
Quale spazio più adatto di un teatro, anzi del retropalco di un teatro, per una discesa nelle ombre del passato? E quale luogo più adatto di un museo, parafrasando André Malraux, per consentire a quelle ombre di sfuggire alla morte, all’ignoranza, alla presunzione dei posteri?
Venerdì 2 settembre il Teatro Capovolto di piazza Cesare Battisti, a Trento, ha ospitato “Museo Pasolini”, spettacolo di e con Ascanio Celestini. La rassegna estiva organizzata da CSC Centro servizi culturali Santa Chiara e inserita nel contenitore Trento aperta 2022 – Sogna, Pensa, Vive promosso dal Comune di Trento si conferma, anche in questi ultimi appuntamenti, un progetto vivace e stimolante sia per la qualità degli spettacoli sia per l’intensa comunione che si viene a creare con il pubblico. Un’intensità che Ascanio Celestini sa modulare (nonostante una durata di 120′ abbondanti) tramutandosi in guida esperta tra le storie e le identità, molteplici e al contempo uniche, sia le prime sia le seconde. Ma andiamo con ordine, anzi, come ricorre spesso nel testo, rispettiamo la cronologia.
Chi erano i genitori di Pier Paolo, di quali storie è erede o allievo? Il primo reperto del museo è un componimento andato perduto, la prima grafia di un bambino che grazie alla madre insegnante scopre il vivo coraggio della poesia che proviene da dentro e non soltanto dai libri stampati. Seconda tappa: il Cimitero di Casarsa della Delizia, dove insieme agli altri riposa anche il fratello Guido Alberto, partigiano con il fazzoletto verde ucciso nel febbraio 1945 da altri partigiani che avevano lo stesso odio per la dittatura fascista ma il fazzoletto al collo di un altro colore. Dalla nascita alla tomba, dunque, lasciando intravedere in parte ciò che di Pasolini verrà fatto dopo, sotto altre forme e spoglie. Il museo in cui Celestini ci introduce è immateriale, al pari della scenografia: l’anta di un portoncino d’ingresso, una sedia, una bottiglia d’acqua limpida. Si prosegue senz’altro, tagliando periferie e strade di città, incontrando il poeta divenuto giovane maestro che ogni giorno prende i mezzi pubblici per andare a sgobbare in una scuola di Fiumicino. E avanti così, attraversando aneddoti capovolti in Storia collettiva e fatti storici – i golpe “mai accaduti” nella Prima Repubblica, i giudizi subìti dal poeta, le bombe e la strategia della tensione – tradotti in metafora. Raccontare chi è stato P.P.P. significa, inevitabilmente, ricostruire cosa è stata l’Italia dalla marcia su Roma al 1975, anno che segna non solo il terribile omicidio bensì l’inizio di una nuova esistenza per mezzo di altri, altre parole, altre opere e omissioni. Significa soprattutto, come emerso nel bellissimo Dialogo tra Celestini e Paolo Di Paolo che ha preceduto lo spettacolo, affrontare la diffusa presunzione di conoscere già q.b., di sapere perfettamente entro quali confini intellettuali, artistici, politici o sessuali va collocato Pier Paolo Pasolini una volta per tutte. La morte, per l’appunto, nelle fauci della distrazione di massa.
Rispettando la cronologia, la sua vita di poeta, scrittore, editorialista e cineasta potrebbe essere interamente mostrata in controluce. Tuttavia da un certo punto in poi Celestini concede sempre più spazio ai personaggi con più di un nome, con più di una faccia e con più di un movente, per buffo o tragico che sia. Qui forse possiamo individuare un difetto di questo Museo: superati i primi 60′, il racconto smarrisce la compattezza da cui era partito. O meglio, sorge il dubbio che talvolta sul filo acrobatico della sorpresa si perda il filo del discorso e che la narrazione, per quanto godibile, in diversi punti proceda al pari di una trottola muovendosi vorticosamente ma senza compiere sostanziali passi in avanti. Si può raggiungere lo scopo in meno di due ore, e con sicura efficacia: numerosi spettacoli ne hanno dato prova su altri palcoscenici italiani.
Pier Paolo Chini