“Il solco” – L’Istanbul di Valérie Manteau
Valérie Manteau ci racconta l’Istanbul di oggi, che lei stessa trova cambiata al suo ritorno nel 2016, rispetto al 2013. Quando torna, è cambiata lei reduce dalla strage alla redazione del Charlie Hebdo ed è cambiata Istanbul, reduce dalla dura repressione governativa.
Eppure, in un clima non certo disteso, la Manteau riesce a raccontare un doppio volto di Istanbul: quello di chi, nei locali dove si fa musica, nei bar, nei collettivi, cerca di resistere e di vivere normalmente, nonostante la politica, quella da cui nessuno è esule perché ricade sulla vita di ogni giorno, di ogni singolo individuo. Ci racconta di tramonti che, per chi ha visto la città, è facile riconoscere, e per chi non c’è mai stato invogliano a partire, per vederla quella luce che cade su strade e moschee. L’altro volto è quello di chi, se può, scappa perché non vuole “crepare per Istanbul”.
La Manteau racconta pezzi di Turchia e pezzi di sé, delle persone che incontra, di un amore difficile che forse non ha futuro perché “chi sarebbe così pazzo da fare figli in Turchia oggi” e perché “se tu morissi in Francia, non potrei nemmeno venire al tuo funerale”. Quella di cui la Manteau va alla ricerca in queste pagine, rendendoci partecipi, non è una Turchia facile: sulle orme del giornalista armeno Hrant Dink, ucciso per le proprie idee considerate anti nazionaliste, “Il solco” (L’orma editore, 2019, pp. 224, euro 16) è anche la storia di giornalisti, scrittori, registi, intellettuali processati o uccisi in nome della libertà, quella di poter restare nel proprio Paese con le proprie idee, espresse con “una lingua che prende il nazionalismo alla gola con entrambe le mani” attraverso la conciliazione e non l’imposizione del “o ci ami o ci lasci”.
Una stessa domanda pare ripetersi in modo più o meno implicito lungo tutta la narrazione: “Cosa possiamo fare per la libertà, per l’arte, per l’amore? È una domanda semplice, no?” La frase con cui Valérie Manteau ci lascia è forse la risposta: “Dear future, I am ready”.
Laura Franchi