Il sogno impossibile di George e Lenny: al Teatro San Babila di Milano è in scena “Uomini e Topi”

“Nobody knows the trouble I’ve seen
Nobody knows my sorrow
Nobody knows the trouble I’ve seen
Glory, Hallelujah”
Era il 1937 quando venne pubblicato per la prima volta, a Londra, il romanzo “Of mice and man” dello scrittore statunitense John Steinbeck, a cui hanno fatto seguito, prima nel 1939 e dopo nel 1992, due versioni cinematografiche.
Siamo negli anni ’30, e in un periodo storico molto difficile per gli Stati Uniti si colloca la storia che vede come protagonisti Lenny Small e George Milton, due giovani braccianti in cerca di lavoro, che fanno tappa in diversi ranch per poter mettere da parte qualche soldo e realizzare il loro sogno: acquistare un pezzo di terra e coltivarla, vivendo felicemente grazie alla ricchezza dei prodotti del sottosuolo e dall’allevamento di animali.
“Uomini e topi”, nonostante sia un romanzo, ha avuto negli anni diverse trasposizioni teatrali, l’ultima delle quali è in scena ora al Teatro San Babila di Milano fino al 6 aprile. Già nei minuti che precedono l’inizio dello spettacolo il pubblico si sente in mezzo alla natura, con un sottofondo di cicale e altri insetti della stagione estiva. Poi, mentre il sipario di apre, viene proiettata l’immagine di una strada di campagna con in avvicinamento due figure, che si materializzano poco dopo sul palco: sono i due protagonisti, Lenny e George. Prima di recarsi al ranch dove lavoreranno, passano la notte all’aperto in riva al fiume. Lenny e George sono molto legati, anche se non sembra, dato la loro sostanziale diversità: Lenny è alto e corpulento, con una forza fuori dal comune, ma non molto sveglio e incapace di cavarsela da solo. George, d’altro canto, pur irritandosi spesso con Lenny a causa della sua scarsa intelligenza, gli è affezionato e vuole proteggerlo, anche se in più occasioni non manca di esternare quanto la presenza di Lenny gli impedisca di vivere come vorrebbe. Entrambi hanno un sogno: rendersi indipendenti acquistando un pezzo di terra, e a questo desiderio si aggrappano per andare avanti.
Quando arrivano al ranch fanno conoscenza con gli altri lavoratori: Candy, che ha perso una mano e svolge solo i lavori più umili, Slim il mulattiere, e poi Carlson, Whim, Crooks, e Curley, il figlio del padrone, dal carattere iroso e arrogante. Unica presenza femminile, e altamente pericolosa, è la moglie di Curley, che per noia e svago si aggira spesso nelle stanze dei lavoratori in atteggiamenti poco chiari.
“Uomini e topi” è il racconto di un’ambizione comune che nessuno riesce a raggiungere. La splendida regia di Marco Vaccari immerge completamente nell’atmosfera della storia, arricchendola di momenti preziosi anche nei cambi di scena, accompagnati sempre da un canto che rimane in testa, che tiene il tempo del lavoro e a esso affida un senso; è l’inno dei braccianti, che rispondono prontamente alla voce guida.
Oltre a questo tema principale, ne troviamo altri secondari, ma non di minore importanza, come il razzismo, o i legami stessi tra le persone, variegati e imprevedibili. Il cast, formato dalla Compagnia del Teatro San Babila, è eccellente e guidato con maestria. Quasi due ore in cui il tempo sembra sospeso e si assiste al graduale sgretolamento di un obiettivo fino al tragico epilogo. Un grande plauso quindi a Leonardo Moroni (George) e Jacopo Sartori (Lenny), e a tutti gli altri attori, affiatati e coesi, composto da: Gianni Lamanna, Marcello Mocchi, Lorenzo Alfieri, Giulia Marchesi, Felice Invernici, Rodrigue Sekpe.
Non capita poi così spesso uscire da teatro e realizzare di avere visto uno spettacolo proprio bello.
Roberta Usardi