IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ al TAU di Rende
Il Teatro Auditorium Unical di Rende, l’8 e il 9 gennaio, ha ospitato Il Sindaco del Rione Sanità, il capolavoro di Eduardo De Filippo con la regia di Mario Martone. L’opera di Eduardo, ancora oggi, a sessant’anni dalla prima messa in scena, è in grado di rappresentare le tante contraddizioni della nostra società. Come in un romanzo, il testo è curato con grande attenzione in ogni passaggio, in ogni particolare. Gli attori si muovono in un piccolo spazio, il palcoscenico appunto, eppure la percezione è quella di essere spettatori di un mondo attraverso una visione drammatica e pessimistica.
Prima di cominciare, il rapper Ralph P. ci introduce in una casa borghese, dove una stanza viene trasformata in una sala operatoria, grazie alle scende di Carmine Guarino. Ci sono due ragazzi e un medico, il dottor Fabio Della Ragione, interpretato magnificamente da Giovanni Ludeno che, come è solito fare in quella casa, si appresta a curare una ferita da arma da fuoco. Subito dopo c’è l’entrata in scena del protagonista, Antonio Barracano, il sindaco appunto, che nel testo di Eduardo viene così presentato: «I settantacinque anni dell’uomo sono invidiabili: è alto di statura, sano, asciutto, nerboruto. La schiena inarcata gli conferisce un’andatura regale». Mario Martone, invece, per la regia pensata per il gruppo del Nest (Napoli Est Teatro), sceglie un attore decisamente più giovane, Francesco di Leva, una scelta dal ben motivo preciso: rendere ancora più attuale il messaggio di Eduardo e avvicinare i giovani al teatro di questo grande drammaturgo napoletano.
Antonio Barracano fa il proprio ingresso in tuta nera con cappuccio, è un boss quarantenne, dall’aspetto tonico e curato (mentre parla si mantiene in allenamento con una panca per addominali). La sua famiglia costituisce il cuore di questa vicenda, soprattutto per loro, per la moglie e per i figli, mantiene l’ordine nel quartiere; è disposto a tutto, anche a morire per quel suo mondo ideologico “meno rotondo ma un poco più quadrato“. Ed è proprio per risolvere una disputa familiare tra padre e figlio, Arturo Santaniello (Massimiliano Gallo) e suo figlio Rafieluccio, che don Antonio verrà ferito gravemente. A motivare la scelta di non lasciarsi accompagnare in ospedale e di non sporgere denuncia, è proprio l’amore per la famiglia. La paura di ritorsioni verso i suoi cari.
Il protagonista immaginato da Eduardo, nel lasciarsi morire, non compie solo un sacrificio ma esercita un atto che è liberazione dal peso portato per un’intera vita, il peso di un mondo che con fatica ha cercato di rendere più giusto, ovviamente nella sua visione di giustizia. E qui la diversa scelta del regista rispetto al testo originale: l’assenza del messaggio di speranza. Ben visibile, invece, l’antico dramma che è il contrasto fra il bene e il male, fra le leggi fatte da alcuni uomini che credono di essere giusti e le leggi dello Stato, spesso così fallibili. Bravo Francesco di Leva, interprete carismatico in un ruolo sicuramente non facile e bravi tutti gli attori in scena, che hanno mantenuto ritmo e concentrazione in questo spettacolo di cui si consiglia la visione a tutti, soprattutto ai più giovani.
Letizia Chippari