IL SERVO al Teatro Mercadante di Napoli
“la sua soddisfazione è il nostro miglior premio”
Pensavo di essere andato a teatro stasera e invece mi sono trovato a una mostra. Davanti a un quadro di Hopper, davanti all’intera produzione del pittore americano, a una personale con tanto di inaugurazione e scelta di vini molto pregiati. Abbiamo bevuto e brindato insieme trasgredendo ogni valore e regola sociale, cadendo sempre più in basso per finire sdraiati sul divano, nudi gli uni di fronte agli altri senza nemmeno sapere bene perché. Ci siamo lasciati andare e trasportare dalle situazioni perdendo il controllo e mettendo in barca i remi del nostro esistere.
Room in New York – E. Hopper
In questa “galleria” teatro che è il bellissimo Mercadante di Napoli, in tre ambienti – un salotto,una sala da pranzo e una camera da letto – messi in risalto e in primo piano, di volta in volta, dalle luci di Cesare Accetta – come in un’opera silenziosa e inquietante di Hopper – assistiamo alla messa in scena della relazione tra un servo (Lino Musella) e il suo padrone (l’attore Andrea Renzi che qui firma a quattro mani la regia con Pierpaolo Sepe e con l’aiuto regia Luisa Corcione). Sembra l’America di Belli e dannati, della degradazione morale, dell’alcool e delle feste eppure è tutto così maledettamente familiare. Del resto chi non si è mai trovato in un rapporto complicato? IL SERVO è una commedia: c’è il brillante avvocato Tony con la sua fidanzata , il suo migliore amico Richard, un servo di nome Barrett e le sue donne, una nipote e una compagna interpretata da una sempre bellissima Maria Laila Fernandez.
Sorridiamo della frivolezza dell’uomo e dei suoi amici, di questo avvocato della Londra bene che non vuole nemmeno pensare ad organizzare una cena: tutto va bene tutto è perfetto purché non sia lui a doverci pensare. Ridiamo delle scenate di gelosia della fidanzata Sally (Emilia Scarpati Fanetti), infastidita dalle cure assidue del servo, dalle sue troppe premure indigeste anche all’amico (Tony Laudadio).
Ridiamo perché è una commedia ma di una risata sempre più amara perché, quella a cui assistiamo, è una storia nera tinta di giallo. Tutto è inquietante, il silenzio di Barrett, il suo tono dismesso e il suo apparire all’improvviso e fuori luogo, il suo essere tanto presente da sostituirsi alla fidanzata e a Richard, diventando una figura sempre più importante e fondamentale, dominante. Vediamo come cambiano i rapporti tra i due protagonisti e come le relazioni si trasformano ed eccedono fino a toccare il fondo, si rompono. Tony e Barrett si perdono per poi riprendersi e accorgersi che non possono fare a meno l’uno dell’altro, come in una torbida storia d’amore dove non si capisce chi dipende da chi, chi muove i fili della relazione. Perché se è vero che c’è uno più forte dell’altro in ogni rapporto, di qualunque natura esso sia, è pur vero che chi comanda o crede di comandare niente può senza il comandato. Non ci sono più padroni e servi in questa storia. E non ci sono amici e amori che tengano. L’unico rapporto buono è un rapporto malato al limite della trasgressione, un rapporto dove il potere è l’unica cosa che conta, non importa più chi lo esercita o come viene esercitato. Il potere per il potere.
Una critica alla fascinazione che il denaro e la voglia di avere per avere esercitano o possono esercitare su di noi, alla potenza dell’effimero e del capitalismo che bisbigliano alle nostre spalle il desiderio di possesso e la ricerca del benessere fine a se stesso, un benessere che inizia per servirci e finisce per dominarci come un servo e il suo padrone.
Antonio Conte