Il senso della vita nei fondi di caffè di Mario Benedetti
Montevideo, Uruguay
Siamo a Montevideo, in svariati quartieri “tra Nicaragua e Cufré, Constitución e Goes, Porongos e Pedernal”, in quell’arco temporale che va all’incirca dagli anni ’20 della prima metà del XX secolo, passando dal dramma della seconda guerra mondiale, allo scoppio della bomba atomica su Nagasaki, il 9 agosto 1945, e qualche tempo oltre. Mario Benedetti racconta un’esistenza, quella di Claudio. Scandisce i passi di questo bambino che diventa uomo e che, mentre cammina nel corso della vita, lascia delle tracce, come i sedimenti dei fondi di caffè.
“Capurro era la rimbombante campana del tram numero 22 e gli equilibrismi dell’autista, l’attesa del passaggio a livello vicino a Uruguayana, oppure era le mie conversazioni con Mateo e soprattutto le braccia accoglienti di mia madre…”.
Si parte dall’infanzia, che Claudio racconta in prima persona, e si arriva verso l’età adulta, ma in ogni momento è in ogni fase un salto al passato è pressoché spontaneo e necessario. Dalle scorribande con gli amici alla morte di sua madre, con l’ennesimo cambio di casa, l’ennesimo cambio di vita… e Rita. Un incontro fortuito e presto svanito, che ritornerà sovente, che si sbiadisce e subito dopo torna a rimarcarsi, quasi a dover necessariamente rivangare qualcosa. Per tanta gente che parte, altra arriva per restare, ad esempio Mariana. Il tempo è complice, disegnato e poi dipinto sempre nelle stesse ore e negli stessi minuti, come a rispettare un appuntamento o semplicemente un rito. A interferire in questo tempo di Claudio, scandito a ritmo di tango, ci sono gli appunti di suo padre o una voce narrante che prende in consegna il filo del racconto, srotolandolo la matassa verso un viaggio chiarificatore e risolutivo.
“Chi era o era stata o sarebbe continuata a essere la bambina del fico, quella Rita […] che mi lasciava sempre traballante e frustrato?”
L’autore
In “Fondi di caffè” (La Nuova Frontiera, pp. 171, euro 16, traduzione di Elisa Tramontin) Mario Benedetti narra il tempo che, mentre, scorrere cambia noi stessi e ciò che ci circonda. Racconta il presente intriso di passato e di quegli elementi che diventano simboli per radicarsi dentro di noi per sempre, in quei pensieri che, quando non toccano la realtà, sono liberi di viaggiare tra le strade dell’immaginazione.
Marianna Zito