“Il rovescio della pelle” – Jeferson Tenório ci insegna a mantenerci vivi
“A volte formulavi un pensiero e lo abitavi. Ti allontanavi. Costruivi una casa così. Distante, Dentro di te. Era questo il tuo modo di affrontare le cose. Oggi, preferisco pensare che te ne sei andato per tornare da me”.
Dopo l’uccisione di suo padre Henrique, per mano di un poliziotto razzista, Pedro – attraverso i suoi libri, quaderni, compiti dei suoi studenti e fogli sparsi in casa – racconta chi è stato quell’uomo a lui così vicino. “Gli stessi oggetti che ti hanno distrutto e ora mi raccontano di te”, come il fantasma del re, padre di Amleto, che appariva al figlio per portarlo alla verità. Oggetti lì fermi, immobili, che confortano e aggrediscono al tempo stesso, sempre pronti a raccontare il passato e a svelare cose nuove; alcuni hanno addirittura uno scopo preciso, un ruolo a partire dal momento in cui il proprietario non c’è più, “ora ricordo quello che mi aveva detto di fare zia Luara quando avessi trovato il tuo Ogum”. Tutto per ricostruire, non senza dolore e spaesamento, un’assenza.
Comincia così una carrellata di ricordi, ricordi che sin dall’adolescenza vedono Henrique accusato, perseguitato e maltrattato violentemente, solo per il colore della sua pelle, mentre ripeteva “io non ho fatto niente” e, infine, ucciso mentre non faceva niente – a Porto Alegre, una delle città più razziste del Brasile – ma pensava ai suoi studenti, a Dostoevskij e al potere che hanno i libri di cambiare le persone. Una ferita, come un’ulcera, ha sempre trapassato la sua vita fatta di resistenza, controlli e accuse senza fondamenta, perché “essere nero era più grave di quanto immaginassi”.
L’incontro con le ragazze bianche, la fatica del giudizio delle famiglie, fino a sua madre. Un rapporto ostico che nel momento di maggior separazione vede, invece, la nascita di Pedro. E le domande su Dio e quelle ancora più complesse, perché “…adesso so che mi stavi preparando. Mi ripetevi sempre che i neri dovevano lottare, perché il mondo dei bianchi ci aveva portato via quasi tutto, e che pensare era ciò che ci restava”. E ciò che restava è nel rovescio, oltre la pelle, dove nessun’altro, oltre noi, può arrivare.
Jeferson Tenório con “Il rovescio della pelle” (Mondadori, pp. 180, euro 17.50, traduzione di Sara Cavarero) scrive una storia forte, toccante e straziante. La sua scrittura è nitida e delicata, scorre veloce e scivola tra le pagine della memoria, per portarci verso un epilogo che conosciamo sin dall’inizio, ma che speriamo sempre possa cambiare. Un romanzo che racconta, oltre alla vita del padre, anche vite diverse della stessa famiglia, con narrazioni che vanno dal passato al presente. Il passaggio dall’una all’altra è scritto con cognizione e cura, permettendoci di restare sempre all’interno di ogni vita e di viverne il dramma o l’emozione. Un libro da leggere per capire tante cose. Per capire la forza, l’umiltà, lo spaesamento, l’assenza; ma anche la cattiveria, la rabbia, l’abbandono e l’ingiustizia. Un libro da leggere per imparare a non avere paura.
Marianna Zito