“Il racconto degli dei” e la scrittura cinematografica di Vanni De Simone
A dispetto della “demitologizzazione” attuata in sinergia dal protestantesimo e dalla Rivoluzione scientifica, il mito incentrato sul motivo “sonno/risveglio”, che affonda le sue radici nel mondo antico (orfismo, platonismo, gnosi), rappresenta ancora una sicura fonte di ispirazione presso i moderni. A partire perlomeno da La vida es sueno di Calderón de La Barca, non sono mancate le versioni letterarie, filosofiche e cinematografiche di questo tema. Presente nelle ossessioni del cinema di Weimar, esso ha conosciuto una grande ripresa, favorita dalla diffusione capillare delle realtà virtuali, grazie alla trilogia di Matrix. E ispirata soprattutto all’opera dei fratelli Wachowski sembra il lavoro sperimentale di Vanni De Simone “Il racconto degli dèi. Romance-script” (Elemento 115, Roma 2019, euro 15).
Del resto la struttura cinematografica del racconto è esplicitamente richiamata e denunciata dall’autore: “Il racconto degli dèi – scrive De Simone – può essere inteso come uno script nel quale i punti di vista dei personaggi sono indicati da cameras, macchine da presa, una per ogni personaggio maggiore”. Sintomaticamente, lungo tutto il corso del libro sono presenti soluzioni grafiche (simboli informatici, alfabeto gotico, disegni… ), che cercano di dare forma visiva alla parola scritta, e che avvicinano “Il racconto degli dèi” al futurismo italiano e a Marinetti, riproponendo nel contempo l’annoso problema del rapporto tra poesia e pittura, letteratura e arti figurative, già studiato a suo tempo dal Laocoonte di Lessing. La trama del racconto fonde insieme il mito di Orfeo e Euridice e la tematica sonno/risveglio dell’Inno della perla (poi rifluito nella gnosi manichea). I personaggi vivono in una realtà virtuale, che essi credono l’unica esistente, governata da un Dio-Macchina e dai suoi servitori. In questo mondo la memoria è scomparsa, ed è scomparso anche il tempo come perenne flusso di passato, presente e futuro. Come nel mondo alienato di Essere e tempo di Heidegger, si vive apparentemente felici in un eterno presente. Ma, come già in Matrix, all’interno di questo sistema c’è una sorta di virus, Euridice, che fa balenare davanti agli occhi di Orfeo l’esistenza di una realtà diversa, in cui esiste memoria, tempo misurabile e soprattutto altre divinità, diverse dal Dio-Macchina. Euridice inizia così, in mezzo a “effetti ritardanti” causati dal rapporto difficile con Orfeo e dalla sua cattività presso i guardiani del Sistema, il racconto dei veri dèi. Gli antichi dèi sono infatti tutti diversi, e hanno pensieri diversi, ma non li comunicano fra di loro. In una seconda fase questi pensieri si intrecciano, e prendono forma in oggetti sensibili, l’uno diverso dall’altro. Nasce così il mondo come noi lo conosciamo, colorato, solido, pieno di cose, e soprattutto saturo di tempo misurabile («immagine mobile dell’eternità») e di memoria. Difficile non avvertire qui echi del Sofista platonico (introduzione del diverso nel mondo dei modelli eterni), e poi delle cosmologie del Neoplatonismo, dello Zoroastrismo o dei Mandei. Il patto tra Orfeo e Euridice prevedeva che Orfeo dovesse ascoltare in silenzio le rivelazioni di Euridice, e senza voltarsi a guardarla. Ma, sconvolto e traumatizzato dall’ascolto di queste verità, Orfeo non può fare a meno di voltarsi e fissare gli occhi su di lei, quasi in atto di ringraziamento. Ma, come nell’antica favola, a questo punto Euridice si dissolve e scompare.
La soluzione grafica qui adottata è particolarmente felice, perché le lettere che annunciano l’annullamento di Euridice scompaiono scivolando una ad una sulla pagina. A costo di sembrare irriguardoso, mi riesce difficile non pensare alle tavole finali di Paperino e la sposa persiana (1950) del grande Carl Barks, in cui le lettere del fumetto si dissolvono insieme ai corpi degli antichi abitanti della città, inutilmente tornati a nuova vita. I fumetti sono stati spesso, soprattutto in tempi recenti, fonte di ispirazione per il cinema. Da questo punto di vista, anche uno script cinematografico come “Il racconto degli dèi” non poteva fare eccezione.
Luciano Albanese