“IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE” ALLO SPAZIO DIAMANTE DI ROMA
“Ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”
Una scrittura ben ritmata quella del catalano Josep Maria Miró nella sua pièce “IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE”, in scena in questi giorni allo Spazio Diamante di Roma. Un ritmo che segue la cadenza ansimante del respiro di chi segue attentamente la situazione che, più di una volta, il respiro lo lascia sospeso.
Siamo in una piscina dove l’istruttore Jordi, – un irriverente e sfrontato Giulio Maria Corso – è accusato dai genitori dei bambini che allena, di un gesto riconducibile alla pedofilia. E da qui cominciano a piovere pietre. Su Jordi, su Anna, la direttrice della palestra – una Monica Bauco determinata e schiava del suo passato – e sull’istruttore dei ragazzi più grandi, Hector -nell’interpretazione delicata e spontaneamente impeccabile di Samuele Picchi. Arriva anche David, padre di uno dei bambini – interpretato da Riccardo Naldini – disorientato dalle illazioni e dalle ipotesi che si innalzano – come un vortice – sullo spazio scenico, definito da boa e da armadietti, e che scuotono in pochissimo tempo una e più vite, che cominciano da qui a vacillare nell’incertezza.
I cambi delle sette scene – curate da Federico Biancalani – hanno un riuscito effetto cinematografico, la situazione la viviamo dal di dentro, quasi anche noi al bordo piscina, in continui flashback e cambi temporali – ottenuti dal gioco luci di Alfredo Piras – che si definiscono proprio davanti ai nostri occhi, mostrandoci, in continuazione, punti di vista differenti e ribaltati. I sospetti e le paure dei nostri tempi moderni sono tradotte e portate in scena da Angelo Savelli insieme alla sua compagnia Pupi e Fresedde che, in modo naturale, ci parlano di un tema oggi scottante e spesso eclissato nelle pieghe dei tabù.
Marianna Zito
Foto di Pino Le Pera