IL PIACERE DELL’ONESTÀ – LILIANA CAVANI DIRIGE GEPPY GLEIJESES
Antonio Gramsci critico d’eccezione della “prima” al Teatro Carignano di Torino nel 1917 aveva visto nella commedia “la rappresentazione di un uomo che vive la vita pensata, la vita come programma, la vita come pura forma, un uomo che ponendosi degli obblighi di onestà e ponendone agli altri, sviluppa il suo pensiero.”
Il piacere dell’onestà, in scena al Teatro della Pergola di Firenze sino al 21 marzo, ispirata alla Novella “Il Tirocinio” di Luigi Pirandello, è un testo breve ma non semplice e dalla trama molto intricata il cui spunto narrativo, comune a molti lavori del grande siciliano, nasce dalla necessità di trovare un marito fittizio a una signora rimasta incinta dall’amante che non può sposare; un matrimonio “bianco” come pretesto per creare situazioni paradossali che finiscono col mettere a nudo la vera natura dei personaggi, un pretesto semplice che, tuttavia, costituisce la chiave di volta della commedia e cioè l’ambiguità di cui viene rivestito il concetto di onestà, onestà formale per risolvere problemi, onestà sostanziale quella dei sentimenti. E in questo alternarsi, in questo rimescolarsi continuo, in questo gioco delle parti che costituisce il cardine del “teatro del grottesco” pirandelliano, nell’alternarsi del comico e del tragico, del dramma e della farsa, i confini tra l’essere e l’apparire si confondono, sfumano, spariscono e si ribaltano sino a far si che, per dirla con lo stesso Pirandello “la mostruosa maschera grottesca di Baldovino – il marito di comodo – alla fine diventa un volto rigato di lacrime”, perché man mano che la maschera formale indossata dall’antico imbroglione rovinato dal gioco, dal nobile decaduto che per una forma di vendetta verso la società accetta di indossare, scivola verso una onestà sostanziale, l’onestà sincera dei sentimenti d’amore e d’affetto mentre quella di tutti gli altri intorno a lui continua nella forma, anzi precipita nella mascalzoneria di sempre.
“Inevitabilmente noi ci costruiamo, io entro qua e divento subito quello che devo essere…” l’amarezza del disincanto fa esordire Baldovino sulla scena con queste parole, con l’accettazione di quella onestà formale che gli viene richiesta, ma è pur vero che con queste parole, con questa consapevolezza egli accetta di intraprendere un percorso che, pur continuando nell’inganno, paradossalmente lo porterà ad essere “onesto”, di quell’onestà difficile ma necessaria per sopravvivere, anche se è molto più facile essere un eroe che un galantuomo, perché eroe si può essere qualche volta, galantuomini sempre.
Bisogna essere dei grandi per portare in scena un lavoro così complesso, fatto di sfumature, di artifizi linguistici, di ragionamenti sottili, di pause calibrate e scatti improvvisi, di movimenti e gesti dove pure l’impercettibile sfregare di un dito serve a scolpire la scena e se Liliana Cavani è maestra nella splendida regia e da maestro risulta essere – e non potevano esserci dubbi – l’interpretazione di Geppy Gleijeses, bravissima tuonante e magnifica Vanessa Gravina, perfetti Giancarlo Condè, Tatiana Winteler, Leandro Amato, Maxmilian Nisi e Brunella De Feudis. Di grande impatto le scene di Leila Fteita, belli i costumi di Lina Nerli Taviani, azzeccate le musiche di Teho Teardo e le luci di Luigi Ascione.Francesco De Masi
Francesco De Masi
Foto di Tommaso Le Pera