Il Perlasca di Albertin al Teatro Sociale di Brescia
Molto applaudito ieri sera Alessandro Albertin al Teatro Sociale di Brescia con il suo Perlasca – IL CORAGGIO DI DIRE NO. Una notevole prova d’attore tesa alla memoria di uno dei veri e propri eroi italiani: forse questa è un’epoca che non ha bisogno di eroi, ma sicuramente ha bisogno della memoria. Del resto la storia di Perlasca è stata anche un esempio di grande riserbo, dato che con umiltà e umanità egli si è sempre mantenuto lontano dai riflettori e, solo a pochi anni dalla morte e non direttamente per sua volontà, siamo venuti a conoscenza delle sue imprese che portarono alla salvezza migliaia di ebrei ungheresi tra il ’43 e il ’45. Niente di più lontano dalle consuetudini attuali votate all’apparenza, dove ogni attività sembra poter essere un “evento”, sul web ma anche nella quotidianità.
Ed è proprio questa discrepanza tra lo ieri e l’oggi che fa avviare il docu-drama di Alessandro Albertin che, dopo un giocoso momento iniziale a luci di sala accese (forse non necessario nella replica serale non scolastica), dà il LA all’autore-interprete per una sottile satira sulla retorica e la demagogia insite nei social network che pervadono innegabilmente molto del nostro tempo; contro la retorica Albertin dichiara che è “buona per i libri di scuola” (affermazione discutibile) e non certo per raccontare la guerra. La guerra va raccontata da chi l’ha vissuta e quindi (dato che nessuno probabilmente in sala l’aveva vissuta) attraverso il linguaggio della guerra. Ed è proprio l’interpretazione del linguaggio della gente di allora – tra regionalismi autoctoni e sfumature straniere – a intessere e vivacizzare la narrazione in cui Albertin, con mestiere, dà voce a un se stesso narratore, a Perlasca e ai principali “attori” di una vicenda storica fuori dal comune, complici o antagonisti in quest’opera di salvazione.
Alessandro Albertin sfodera tutte le sue capacità attoriali e la sua tecnica controllatissima, cambiando voci, toni, registri e gestualità con un’agilità da stand-up comedian, rappresentando addirittura dialoghi tra i diversi personaggi. Occorre, tuttavia, annotare che l’operazione, nell’insieme, non è affatto priva di retorica riempiendosi in alcuni momenti di un’eccessiva enfasi attoriale. D’altra parte, i fatti raccontanti sono talmente interessanti e forti che il pubblico è portato giustamente a credere a tutto quello che Albertin ci comunica. A parte qualche prolasso nel ritmo narrativo verso i tre quarti dello spettacolo – sottolineato puntualmente da un leggero brusio in sala a interrompere l’incanto – la potenza suggestiva ritorna per il gran finale, impreziosito dalla voce registrata del vero Perlasca, in una scena volutamente buia e scarna, punteggiata da raffinati ed essenziali giochi di luce. Davvero troppo scontato e del resto non necessario, e a tratti opprimente, il continuo riferimento a metafore calcistiche che “abbassano il tono” dello spettacolo e che, nel tentativo di annullare un certo tipo di retorica (accademica, storicistica…), ne crea un’altra non meno insidiosa, quella dei social network e del mondo contemporaneo.
Questo spettacolo – ritornato a Brescia in concomitanza con la Giornata della Memoria – dopo il successo nella stagione precedente, resta di pregevole fattura, avvincente, degno di nota e di nobili intenti completamente raggiunti, e merita che continui a girare per le scuole italiane. Bravo quindi Alessandro Albertin!
Giovanni Peli