“Il mercante di Venezia” in scena al Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo a Napoli
Anno del Signore 2022, mi hanno detto che tra poco più di trenta anni il mondo come lo conosco io non ci sarà più, e non ho il coraggio, la voglia o il bisogno di indignarmi. Io, come tutti quelli della mia generazione, quelli prima della mia, e anche quelli dopo, e quelli dopo ancora. Così, per ingannare quel vago sentore di morte preannunciata, come di libbra di carne tagliata, come di soffritto di maiale, vado, nei quartieri spagnoli di Napoli, al Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo per assistere alla messinscena del “Mercante di Venezia” di Shakespeare, una storia di usura, religione e quieto vivere per la regia di Laura Angiulli.
Ha senso vedere Shakespeare oggi, mi chiedo, guardando i nove attori che dal palco mi fissano in silenzio mentre prendiamo posto? Scrutano immobili davanti a loro: chi seduto, chi sdraiato su un letto, chi appoggiato a una colonna, in uno spazio quasi completamente vuoto con un pavimento che sembra di specchio. Una scenografia che inganna, è pur sempre teatro, opera di di Rosario Squillace, Cesare Accetta e Lucio Sabatino. Pochi elementi che diventano fondamentali. Venezia non è mai stata così reale. Basta poco per sentirsi sui canali, per trovarsi in Piazza San Marco in un’alba d’acqua alta. Sedute che fanno da finestre, luci e riflessi su un pavimento liquido che danno corpo e calore, riverberi e giochi d’ombra. Gocce e cerchi che tutto muovono e rendono sempre diverso. Il buio è elemento importante, preponderante. Come l’animo umano è oscuro e misterioso, come certi coltelli affilati. Molti silenzi rotti solo da passi incerti sull’acqua.
Oggi io, che non riesco a provare la forza dell’indignazione, dopo quasi due ore dall’inizio dello spettacolo credo che ci sia ancora più bisogno di Shakespeare per sentire sulla pelle la sensazione, la potenza, la forza delle passioni umane, estreme come non mai, complesse e durature, logoranti e pur così vive tanto da andare contro tutto e tutti.
L’amore che muove il mondo e le stelle, l’amore di Jessica, Fabiana Spinosa, figlia del vecchio mercante Shylock, che porta una giovane donna a rinnegare tutto, la religione e la famiglia per Lorenzo (Paolo Aguzzi). L’amore di Porzia (Alessandra D’Elia), che inganna e mente, aiutata dall’amica, complice e serva (Caterina Pontrandolfo), mistifica e raggira pur di salvare l’uomo amato, Bassanio (Andrea Palladino), diviso tra l’amore per la bella fanciulla, vedova di padre e l’amicizia di Antonio, uomo generoso disposto a spendere il proprio tempo e a sperperare ricchezze per il sorriso dell’amico. A prestare soldi ma senza usura, facendo in questo modo abbassare i tassi d’interesse, come ci ricorda il mercante. La vendetta, violenta, silenziosa, catartica, salvifica come un ricatto, un riscatto per tutti gli avi e nei secoli dei secoli, per quelli venuti e da venire. Nessuno tocchi Caino, almeno quando guardiamo nella stessa direzione. La giustizia, quella degli uomini, diversa e violenta allo stesso modo, come quella di Dio, nell’antico Testamento. La misericordia, sconosciuta ai più, che appartiene agli uomini ed è degli uomini, ma solo quelli di buona volontà.
C’è bisogno di Shakespeare, perché stiamo perdendo il gusto delle passioni umane, siamo tutti un po’ sopiti. La resa del mercante di fronte al doge (Antonio Marfella) è la resa di un’umanità convinta di essere più grande di quella che è, invincibile e prescelta. Sconfitta va via, si ritira come in preda a un malore. Una rabbia quella di Shylock (Giovanni Battaglia), mai sopra le righe, piuttosto silenziosa e strisciante, come di sotto bosco. La rivalsa è di Antonio (Stefano Jotti), reo di troppa generosità, fiducioso verso un futuro incerto, cattivo e imprevedibile. Generosità presunta però, che tutto toglie e rende l’uomo più forte, cattivo dall’alto di un piedistallo di pochi centimetri. Canta la ragione, la sua e quella di nessun altro.
Al Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo, guidati da Antonio Speranza, guitto d’alto rango, servo, messaggero e principe in cerca di sposa, è andata in scena la voglia di riscatto e la rivalsa. La vendetta e il perdono. La resa dei conti e i conti in tasca. C’è ancora bisogno di Shakespeare? La risposta è sì, perché il mondo è quello che è. “Un palcoscenico dove ciascuno deve recitare la sua parte.”
In scena domenica 20 novembre, venerdì 25, sabato 26 e domenica 27 novembre al Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo di Napoli.
Antonio Conte