Il letteraturap di Murubutu & Moon Jazz Band al Teatro Bolivar di Napoli
La sera del 20 novembre al Teatro Bolivar di Napoli si è riempita di poesia e jazz con il concerto di Murubutu. Un teatro colmo fino all’ultimo posto, ed una scenografia, sobria e raffinata, che richiamava l’estetica di una jazz band classica: abiti neri per i musicisti, luci tonde dall’alto, e un sottile velo di fumo che rendeva l’atmosfera sospesa, quasi magica.
Accompagnato dalla Moon Jazz Band, il cantautore ha rivisitato il suo repertorio in una chiave avvolgente, immersiva. Il gruppo, composto da musicisti di alto livello – tra cui ho adorato il sax contralto di Federico Califano e la tromba di Gabriele Polimeni – ha saputo intrecciare le sonorità classiche dell’hip-hop con arrangiamenti jazz di grande raffinatezza. La voce di Dia, cristallina e a tratti eterea, ha aggiunto note oniriche, creando armonie di contrasti con il timbro basso e narrativo di Murubutu.
Tra un brano e l’altro Murubutu ha arricchito la serata con brevi narrazioni autobiografiche, raccontando episodi della sua vita e aneddoti legati ai testi, creando così un legame più intimo con il pubblico. Ha portato per mano tra i temi centrali della sua poetica: il tempo, la pioggia come metafora della condizione umana, l’amore nelle sue sfaccettature più tragiche e struggenti. Ha ammesso lo stesso cantante, con una dose di autoironia, che le sue canzoni si dividono tra tristi, tristissime, e strazianti. Tra questi c’è “Temporale”, elogio della solitudine, che descrive il dolore di una donna che, tra rabbia e nostalgia, ricorda il marito scomparso in mare. Tanti i riferimenti letterari nelle canzoni e negli intermezzi, ad esempio viene richiamato Aristofane per introdurre “Nuvole”, una vera e propria ode al cielo e all’immaginazione. “Come è bello stare immersi con la testa in quella direzione”, con la testa tra le nuvole. Il testo è una poesia di riferimenti letterari e pittorici all’universo d’arte mobile che si trova sopra di noi. E poi “Multiverso”, che racconta la vita che avremmo potuto vivere se avessimo scelto altri bivi. “Dentro ogni goccia vedo un mondo intero” recita il rapper, evocando la frammentazione delle vite possibili e dei destini incrociati.
La cifra stilistica di Murubutu è il “letteraturap”, un rap fortemente poetico che si nutre di riferimenti letterari, filosofici e pittorici, legata al significato del suo stesso il nome d’arte: “Il marabutto guarisce i mali fisici e sociali, e il mio nome vuole evocare il potere curativo della cultura”. La su intensità è alta, resa ancora più forte dalla capacità di comunicare con semplicità ed empatia, e conquista, dimostrando ancora una volta come l’hip-hop possa essere un veicolo potente per raccontare storie complesse e profonde. Il suo stile, dal vivo, riesce a bilanciare la potenza del rap con un’intensità cantautorale che emerge tanto nei testi quanto nella performance. Ogni brano è un racconto, reso ancora più vivo dalla presenza scenica e dall’interazione intima con il pubblico.
Brigida Orria
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