“Il lago dei cigni” al Teatro Alfieri di Torino
Teatro Alfieri, Piazza Solferino, pieno centro. Nato come teatro lirico negli anni Cinquanta dell’Ottocento, ben presto si trasforma in un tempio della prosa e, dal dopoguerra in poi, del jazz, del cantautorato, fino al cabaret. E ancora oggi è così: la Fondazione Torino Spettacoli, che si occupa anche del Teatro Nuovo, del Gioiello e dell’Erba, da decenni propone programmazioni piuttosto ibride: Goldoni, poi Kinky Boots, poi Anna Mazzamauro, poi Alessandro Fullin, poi Pino Insegno diretto da suo fratello, poi Hair, Grease, Veronica Pivetti, una riduzione del Mattia Pascal e un Anfitrione. C’è spazio per tutti, insomma. E infatti giovedì 9 gennaio è arrivato persino il balletto.
Il teatro era gremito, non un posto libero in poltrona o in galleria. Ed è per “Il lago dei cigni” che la folla si è mobilitata. Grandi erano le aspettative, chiaramente: i cartelloni pubblicitari e i comunicati stampa annunciavano veementi che sarebbero arrivati i ballerini della scuola di San Pietroburgo. Ovviamente Il lago dei cigni è un balletto che può contare su una certa popolarità, una forza deflagrante che seduce anche chi a teatro non ci va mai: la trama ci riguarda tutti, in fin dei conti. E poi non bisogna scordare che l’Occidente si è dato molto da fare perché questa storia entrasse nella memoria collettiva: nel ’94 la Crest Animation Productions distribuisce negli USA The Swan Princess, nel 2000 Billy Elliot impara a danzare coi T. Rex e con Čajkovskij sotto l’egida di Daldry e Julie Walters, tre anni dopo emerge dall’etere Barbie e il lago dei cigni, e dieci anni fa Aronofsky racconta la pazzia di una bravissima Natalie Portman nel ruolo di Odette. In molti conservano un qualche riferimento alla trama o al balletto di Marius Petipa, alcuni poi conoscono anche l’audace restauro coreografico che Nureyev propose nel ’64. È fisiologico, dunque, che l’interesse del pubblico sia titillato quando questo balletto sbarca in città. E infatti è sempre un piacere vederlo, anche quando la coreografia scelta è quella più antiquata e femminocentrica di Petipa. La vicenda di Odette e Siegfrid racconta di noi, dopotutto, delle nostre passioni e delle nostre speranze, e ci ricorda che tutti ci imbatteremo in un Rothbart che ci ostacolerà ogni qual volta tenteremo di agire per un bene superiore; e che molti verranno ingiustamente surclassati da una Odile.
Tecnicamente, la resa dello spettacolo ha funzionato abbastanza bene: i ballerini, capacissimi, hanno ballato su una base registrata, non con un’orchestra, e hanno saputo anche gestire un palco ridotto come quello dell’Alfieri. La scenografia essenziale ma curata con costumi coerenti nella loro semplicità.