Il grande gioco di Maria Elisabetta Giudici nel nuovo romanzo “I guardiani delle aquile” – L’intervista
“Ricorda che a volte non arrivare a ciò che si vuole è un meraviglioso colpo di fortuna.”
Una storia ambientata nella seconda metà dell’Ottocento che vede come protagonista Tristan Ek, di origine italo irlandese, abile marinaio. La sua vita, dopo il trauma causato dalla morte dell’amata moglie durante un attacco militare, ha perso ogni significato, gli rimane solo il mare a cui aggrapparsi. Animato solo da rimorso che lo tormenta, decide quindi di imbarcarsi su una nave, la Clementina, per un lungo viaggio a scopo commerciale con destinazione Sumatra. Ma il lungo percorso nell’oceano sarà solo l’inizio del viaggio che lo aspetta e che lo porterà ancora più lontano. Parallelamente a Tristan si snoda anche la storia di Arcadjy Makarov, un ufficiale russo in missione diplomatica in Uzbekistan. Sia Tristan sia Arcadjy si troveranno ad affrontare innumerevoli pericoli attraversando paesaggi tanto sconfinati quanto pericolosi. Ma avranno anche modo di incontrare amici preziosi, che li aiuteranno a capire un po’ di più di loro stessi.
Un romanzo appassionante e colmo di colori, odori, sensazioni: si tratta di “I guardiani delle aquile” (Castelvecchi, Collana Tasti, 2022, pp. 188, euro 18,50) di Maria Elisabetta Giudici, il terzo lavoro letterario dopo “Il re di carta” (2019) e “La foresta invisibile” (2020).
Per approfondire questa splendida storia, abbiamo fatto qualche domanda all’autrice.
“I guardiani delle aquile” è un romanzo molto ricco di descrizioni, colori, odori, tanto che proprio l’ambientazione sembra essere la vera protagonista, che accoglie i personaggi e li mette alla prova. Qual è stata la genesi di questo nuovo romanzo e da dove viene la scelta di ambientazione sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista geografico?
La protagonista assoluta del romanzo è la natura, anche se i protagonisti in carne ed ossa sono un marinaio italo irlandese e un ufficiale russo. Sono convinta che chiunque sia rinchiuso in un luogo per tanto tempo prima o poi desideri uscirne. I miei protagonisti diventano consapevoli di questo, cercano di uscire dal loro vivere quotidiano e abbandonano quella brutta sensazione che è il disperdersi nella perenne ripetizione di se stessi della nostra cosiddetta civiltà. Si immergono nel continuo movimento nomade di un territorio selvaggio, sconosciuto, primordiale e di straordinaria bellezza, finendo per innamorarsi del loro stesso muoversi. Ecco tutto questo si risolve nell’ambientazione che ho scelto, l’Asia Centrale, che ti conduce inevitabilmente a questo innamoramento.
Le storie personali di Tristan e Arkadjy si mischiano con la situazione politica del tempo e verso la fine del romanzo si fa accenno al “grande gioco”. Parlando di “grande gioco” vengono subito in mente due testi: “Kim” di Rudyard Kipling e “Il grande gioco” di Peter Hopkirk. Ha tratto ispirazione da questi autori per il suo romanzo?
Io scrivo romanzi storici e la fase storica più famosa di quel territorio è la guerra sotterranea di spie, chiamata da Kipling “il grande gioco”. I libri che lei cita li ho naturalmente letti, soprattutto il saggio di Hopkirk che ho citato nella bibliografia del romanzo, ma poi sono andata con la mia fantasia.
All’inizio di ogni capitolo è presente una citazione. Può essere inteso come una sorta di sottotitolo o ha tratto ispirazione dai diversi autori che ha citato?
Le citazioni sono sottotitoli ai capitoli. Ho fatto una ricerca accurata e penso di aver trovato le frasi migliori per introdurre ogni capitolo.
Tristan è un personaggio tormentato, scorbutico, depresso, che porta con sé il fardello del rimorso. È difficile entrare in empatia con lui. Arkadjy invece è l’opposto. Per lei entrambi possono essere definiti “eroi”, nonostante la grande diversità che li caratterizza?
Certamente sono i miei eroi. Due tipologie di eroi diverse. Tristan è in realtà dei due il più profondo, è un marinaio e come tale è un sognatore, un uomo leale e generoso, anche se mente… ma per necessità professionale. Arkadjy è un militare, coraggioso, rigido nel rispettare i suoi ordini. Ma alla fine del gioco si troveranno a fare la stessa scelta di vita.
Trovo che siano molto belli anche i personaggi di Aitàn e Tao Li, una specie di “grillo parlante” di Tristan e Arkadjy la loro voce della coscienza. Quanto la loro presenza ha influito sulla missione dei due protagonisti e sulla loro evoluzione?
Nei lunghi viaggi spesso si incontrano persone alle quali ci si lega anche. Questo succede ad ambedue i protagonisti. Entrambi incontrano il loro “altro io”, il loro “doppio se”, ciò che vorrebbero essere, due uomini non a caso uomini di quella terra che della natura hanno fatto la loro compagna di vita. Tristan incontra un burkishi, un cacciatore con le aquile che gli insegnerà la sopravvivenza il rispetto per gli animali, la generosità e l’amicizia, lo porterà ad amare i deserti, i cieli delle stelle. Arkadjy ha con sé un amico sincero, un medico cinese che lo guiderà per un percorso accidentato verso una natura amica nella difficile scelta di una nuova vita.
Il titolo “I guardiani delle aquile” si riferisce al personaggio di Aitàn. Come mai questa scelta?
Quando sono andata in Asia centrale sono rimasta incantata dal rapporto familiare, empatico, tra i burkishi e le loro aquile, e se si decide di parlare di Uzbekistan, di Kazakistan e di Kirghisistan, è impossibile non celebrare questi incredibili uomini e donne.
Quali sono i prossimi appuntamenti della presentazione del libro?
La mia agente mi ha organizzato diversi incontri nelle biblioteche per tutta l’Italia. Iniziamo il 24 di marzo a Roma.
Sta già lavorando al suo prossimo romanzo?
Sì, sto lavorando al mio quarto romanzo, che sarà ambientato nel Mahgreb intorno agli anni ’30 del 1800. Sarà una spy story, ma anche un romanzo di grandi sentimenti.
Roberta Usardi
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