“Il grande amore di mia madre” di Urs Widmer
“Mormorava più che mai anche i modi di morire, quasi fossero una preghiera.”
“Il grande amore di mia madre” di Urs Widmer (Keller Editore 2019, pp. 159, euro 15,50) è ambientato negli anni venti. Clara, la protagonista, è nel fiore dei suoi anni, giovane, bella, con una vita agiata. Ha la passione per la musica e i compositori moderni. Edwin è povero, ostinato, ama la musica, non ha talento nel suonare, ma ha una innata genialità nel dirigere l’orchestra, la Junges Orchester. Clara si innamora di Edwin e, per stargli vicino, diventa la segretaria tuttofare dell’orchestra che lui dirige. Diventa la sua ombra. Edwin però è un uomo che non ha spazio per i sentimenti, pensa solo alla sua egoistica fame di successo ed è disposto a tutto per ottenerla.
Durante il crollo della borsa di New York nel 1929, Clara perde suo padre, così l’impegno preso per amore con l’orchestra diventa per lei il mezzo per sopravvivere, ma il suo Edwin è pronto a sposare la figlia di un ricco industriale. Anche Clara si sposa, ma l’esistenza del marito è quasi sottintesa, non viene mai menzionato, concepisce un figlio, che è diventerà l’io narrante di questo romanzo. Dalle sue parole si percepisce l’amarezza che impregna la descrizione dello sgretolamento dello spirito di sua madre, malato di un’ossessione, quella per Edwin, che la porterà alla follia. Il figlio per lei rappresenta un’appendice, tanto da includerlo nei suoi progetti di morte: lo ignora, quasi non prova amore. Arriva la guerra, e lei coltiva il suo orto, estranea a tutto, facendosi scivolare addosso le atrocità del conflitto. Malata, viene spesso ricoverata nel sanatorio dove le praticano addirittura l’elettroshock. Il figlio, durante questi anni, continua a mendicare il suo amore e le sue attenzioni, invano, perché è troppo occupata a rimpiangere l’amore perduto, fino all’ultimo dei suoi giorni.
Clara è fragile, ecco come è fatta. Questa è la lava che le scorre dentro in alcuni momenti, già da bambina viaggia in una dimensione parallela popolata da incubi e si aggrappa con le mani alle sedie, tanto da farle sbiancare, per sorreggersi. Fuoco e cristallo, amore e tristezza, voci bisbigliate e urla assordanti, musica e silenzio, questa è Clara. Il figlio riesce a trasmettere al lettore la sua debolezza, descrivendone la passione ossessione con un mortificato coinvolgimento. Clara è rapita nelle nebbie del suo limbo. E il figlio, che è lo scrittore stesso, riesce a trasmettere al lettore quel senso di abbandono e smarrimento che, fin da bambino, provava al cospetto di quella madre.
Marisa Padula