“Il giovane Mungo”, in cerca di un posto nel mondo
“Il giovane Mungo” (Mondadori, pp. 453, euro 22) è il secondo romanzo di Douglas Stuart, autore scozzese pluripremiato.
“Mio padre era un nazionalista. Voleva che i figli avessero nomi scozzesi tradizionali.”
“Si, ma Mungo. Cazzo, è maltrattamento di minori.”
“San Mungo. Era il santo patrono di Glasgow. Accese un fuoco dal nulla… una roba del genere. Non so di preciso.”
Siamo a Glasgow negli anni Novanta. Mungo passa le sue giornate tra la scuola, che gli garantisce un pasto gratis al giorno, e le scorribande nel quartiere, a cui prende parte per cercare di non sentirsi troppo diverso dagli altri, e spesso costretto dal fratello maggiore Hamish, bullo e già giovanissimo padre.
La madre Maureen/Ma-Mo, vedova single e alcolizzata, è completamente assente, presa da stessa e dalle recriminazioni per la vita che pensava di meritare, ma che non si è mai davvero sforzata di avere. Mungo la ama profondamente, la venera, le perdona tutto e ha un bisogno viscerale del contatto fisico con lei.
Jodie, la sorella, cerca di tenere insieme i pezzi soprattutto per proteggere Mungo, ma allo stesso tempo cerca una via di fuga per sé.
Tutt’intorno a loro la città e la sua popolazione operaia tentano di uscire dalla povertà e dalla disperazione in cui l’epoca tatcheriana le ha affossate.
Ogni cosa pare ferma e immutabile, finché Mungo, protestante, non incontra James, coetaneo e cattolico. Un amore tenero, pulito come solo certi amori giovani sanno essere, solo come certe prime volte sanno essere. Ma le punizioni a cui entrambi dovranno andare incontro saranno piene di dolore e crudeltà, fisiche ed emotive. I due ragazzi potranno scegliere di lasciarsi spezzare o di farne un punto di forza e di svolta.
“Devi sempre andare in chiesa?”
“No, ma preghiamo a scuola quasi tutte le mattine.”
Mungo ci rifletté qualche momento. Alla scuola protestante avevano l’assemblea settimanale e a pranzo dovevano recitare il Padre Nostro. Perciò cos’è che rendeva i cattolici così diversi? Che cosa avrebbe dovuto odiare in loro?
Glasgow è protagonista tanto quanto le altre figure del romanzo. Ci dà la chiave di lettura di queste pagine. Un mondo iper-mascolinizzato, in due quartieri dove i giovani della classe operaia si dividono secondo linee settarie e combattono battaglie territoriali per difendere la propria reputazione. Per essere considerati veri uomini, James e Mungo dovrebbero essere nemici giurati. La madre lo manda negli altipiani della Scozia occidentale per fare di lui “un uomo”, insieme a due alcolizzati ex-galeotti in libertà vigilata di cui a stento conosce i nomi, che non solo metteranno in luce tutte le contraddizioni di un contesto dove l’apparenza deve essere più forte di tutto, ma lo trascineranno in un vortice di violenza indicibile.
È una storia che fa male. E fa così male perché non importa che sia Glasgow e non importa che siano i lontani anni ’90. Stuart mette sul tavolo temi che ci sono fin troppo vicini. Quotidianamente sentiamo, leggiamo di famiglie-non famiglie dove la tenerezza è proibita, di “la gente potrebbe parlare”. Dove i bambini diventano adolescenti lasciati a sé stessi e capaci di chiedere/si solo “Cosa ho fatto?” e mai “Che ti succede?” davanti a un problema vero o presunto, colpevoli di una colpa che non hanno per davvero, eppure se la trascinano dentro.
Sfasata su due piani temporali diversi che si incrociano e alternano, la narrazione ci mette davanti agli occhi la storia di una famiglia tutta sbagliata così ben adattata a una società tutta sbagliata, con figli avuti troppo presto, e il vizio sempre troppo vicino. La storia di un mondo in cui è vitale schiacciare chi è più debole di te, come rivalsa nei confronti di chi ti fa sentire una nullità. La storia di tutto quello che può esserci di male nella vita di un giovane che si sta formando e trasformando. E a fare più male è la tenerezza che nonostante tutto Mungo continua a emanare, alla ricerca disperata di un incastro per sé in un mondo che addita lui come sbagliato. Ci sono pagine di una crudezza infinita e altre infinitamente luminose, come solo la speranza sa essere.
“Mungo scrutò la collinetta in lungo e in largo, poi gli stampò un bacio veloce sulla bocca. Era come pane caldo imburrato quando morivi di fame. Per dire quanto era buono.”
Ma la vera salvezza di Mungo è proprio essere come è. Fuori contesto, “finocchio, imbelle, rammollito come una femminuccia”. Tutto ciò che lo stigmatizza lo farà arrivare verso una mano tesa che può portarlo, finalmente, ovunque.
Laura Franchi