“Il gesto di Caino” lezione magistrale di Massimo Recalcati al Festivalfilosofia
Massimo Recalcati, psicoanalista di orientamento lacaniano, insegna psicoanalisi e scienze umane presso l’Università degli Studi di Verona. Attualmente, è membro analista dell’“Associazione Lacaniana Italiana di Psicoanalisi” (ALIpsi) e di “Espace Analytique”. Accanto a un lavoro di interpretazione dello sviluppo e della struttura del pensiero lacaniano, si è occupato di fenomeni di dipendenza alimentare. Più di recente ha indagato le figure del padre, della madre e della relazione familiare nell’epoca della crisi dell’autorità.
Nella lezione magistrale, all’interno della terza pista tematica quale il “Lessico dell’individuo” del Festivafilosofia, ha ragionato su un gesto della violenza biblica, come quello di Caino, riconducendolo lungo i percorsi del fratricidio e analizzando, secondo il pensiero psicoanalitico, le dinamiche che vi ruotano intorno. Nel nostro tempo, come afferma Recalcati, in cui costruiamo muri e fili spinati, parlare di Caino è estremamente utile. In fondo la storia è piena di massacri e, pertanto, noi tutti siamo i suoi eredi. Il gesto di Caino potrebbe essere vissuto come se fosse una regressione verso il mondo animale, ma in realtà solo nel mondo umano esiste il crimine, la follia. Nel mondo animale non c’è invidia, c’è solo l’istinto di provvedere al nutrimento e, come tale, si tratta di un istinto vitale. Nel mondo umano – prosegue il Prof. – la violenza è semplicemente crudeltà e sadismo. La violenza non è un istinto ma una tentazione, che viene incarnata da Caino. La tentazione della violenza è come se fosse un’allucinazione, come si dice nella clinica psicoanalitica, che trasforma la realtà adattandola forzatamente e illusoriamente ai nostri desideri. Come quella donna che, avendo perso un figlio appena nato, illusoriamente lo fa rivivere tenendo un braccio un pezzo di legno. In tal modo, viene a negare la realtà. In ciascuno di noi, dice Freud, c’è un inconscio criminale che consente di uccidere il rivale, il nemico. Esiste un legame stretto tra la violenza e l’allucinazione. Se non si passa attraverso il lutto, elaborando la perdita, si sviluppa l’allucinazione. Abele, pertanto, rappresenta il limite per Caino. È il nome di un ostacolo che gli ricorda di non essere l’unico al mondo. Abele viene allucinatoriamente negato attraverso la violenza. Nel testo biblico, all’inizio della Genesi, ci sono due grandi trasgressioni. Sono i genitori di Caino che compiono la prima. Quando Dio proibisce nell’Eden l’accesso all’albero della conoscenza, un limite assolutamente da sorpassare, una zona impenetrabile. L’Eden un luogo dove si può fare tutto ma non si può scoprire tutto il sapere, il sapere di Dio. Questo infiamma il desiderio di trasgressione del limite, ma ogni interdizione che cade sull’oggetto rende l’oggetto stesso desiderabile e anziché spegnere il desiderio lo fa divampare. Dal punto di vista politico, si tratta del limite fondamentale di ogni proibizionismo. La proibizione non scoraggia il desiderio ma lo incentiva. La seconda trasgressione è quella di Caino che non riguarda la conoscenza, ma la trasgressione con il fratello: Caino trasgredisce la legge propria del legame di fratellanza. Uccide il proprio fratello. C’è un elemento di congiunzione. Il serpente che incoraggia Adamo ed Eva a trasgredire la legge. Ma chi è il serpente? Cos’è il serpente? Il serpente è un diffamatore di Dio, dà una rappresentazione maligna di Dio. Dice ad Adamo ed Eva che Dio vuole tenere per sé tutti i beni della creazione. È un egoista, un malvagio. Vuole escludervi dal suo godimento. Il serpente insinua la dimensione arbitraria del potere di Dio. Convince Adamo ed Eva a trasgredire la legge. Perché il serpente è importante per introdurre Caino? Perché il serpente introduce per la prima volta lo sguardo dell’invidia. E Caino è una figura radicale dell’invidia. Il passaggio allatto violento nell’umano ha un’origine invidiosa. Sorge dall’invidia. Recalcati si chiede che cosa sia l’invidia. Cosa definisce l’odio invidioso, di cui Caino è l’incarnazione?
Sant’Agostino nelle “Confessioni”, prosegue il nostro psicoanalista, descrive in modo mirabile l’invidia: la scena di un dipinto ruota intorno all’allattamento di un neonato tenuto al seno dalla mamma, mentre un bambino, presumibilmente il fratello, osserva la scena ed è divorato dall’invidia. Questa quadro, secondo l’autore, focalizza l’esperienza umana dell’invidia. Un bambino che si nutre e un altro escluso dal godimento che invidia profondamente un suo simile. Lacan, a proposito di questa scena, parla di desiderio invidioso come desiderio dell’oggetto del desiderio dell’altro, ossia quando noi invidiamo qualcuno desideriamo l’oggetto del suo desiderio. L’oggetto del suo desiderio diventa desiderabile non per le sue proprietà, ma in quanto desiderato dal desiderio dell’altro. Questo è quanto accade nella vita amorosa. Il desiderio invidioso si nutre del desiderio dell’altro. Io desidero l’oggetto desiderato dall’altro. Quando è nelle mie mani diventa insignificante. È importante solo quando è nelle mani dell’altro. Aristotele, come riportato dal nostro autore, diceva che non esiste invidia tra estranei ma tra prossimi. Recalcati, ad esempio, non invidierebbe mai un calciatore, ma casomai un intellettuale. L’invidia implica sempre una continuità tra l’invidioso e l’invidiato. Che cosa invidio dell’invidiato? Non invidio delle qualità, il coraggio, la forza, la bellezza. La vera invidia è l’invidia della vita dell’altro. La potenza della vita dell’altro che a me manca, quella vita che è più viva della mia vita. San Tommaso dice che l’invidia è la tristezza provocata dai beni altrui. Gli invidiosi sono sempre tristi. Sono malati di rancore. L’invidia è per la vita dell’altro che è più viva della loro vita.
Cosa vede Caino in Abele? Vede innanzitutto qualcuno che ha infranto il sogno dell’unicità. Dobbiamo immaginare che nel mito biblico c’è stato un momento in cui Caino davvero sia stato l’unico figlio al mondo. I nostri figli, oggi, si illudono di poterlo essere, ma Caino lo è stato veramente. Nel testo biblico si sottolinea la primogenitura di Caino ma anche che lui sia stato l’uomo di sua mamma. Si tratta di un fallimento della maternità di Eva che pensa a Caino, non come un figlio ma come un partner. Il papà diventa “periferico”. Caino coincideva con il mondo della madre. Una madre che è soltanto madre, che uccide il suo essere donna e che fa prendere al figlio il posto del compagno con un abbassamento della sua libido. Un aspetto questo che richiama una psicopatologia della maternità. Il loro mondo, quello di Eva e di Caino, è una prigione sia per il figlio che per la madre. E lui possiamo definirlo come il figlio narcisistico per eccellenza. Se vogliamo capire il gesto fratricida di Caino, come afferma Lacan, dobbiamo ricorrere al mito di Narciso. Narciso, infatti, è il segreto di Caino. Possiamo affermare con Recalcati, che l’agire violento dell’uomo è sempre narcisistico. La lezione di Recalcati continua con riferimenti alla fase dello specchio. Abele imprime tutta sua fascinazione in Caino perché incarna l’ideale che lui vorrebbe essere. Abele è l’immagine ideale di Caino con la quale Caino non può mai coincidere, perché sfugge. La violenza sorge sempre per un effetto di fascinazione. Io ti amo perché vorrei essere come te, ma poiché non posso essere come te, io ti odio e ti uccido. Questo è uno schema che troviamo drammaticamente al centro di molti episodi di femminicidio. Caino non sopporta Abele perché gli ricorda che lui non è tutto. Ferita narcisistica profonda. Come risponde Caino a questa ferita narcisistica? Ferita narcisistica che si manifesta quando Dio sceglie i doni di Abele. Recalcati ipotizza che si può pensare che Dio rifiuti i doni di Caino perché provengono da un legame troppo adesivo con la terra, che è una grande figura della madre. E che Dio frustri il dono di Caino perché esige che si metta in movimento, ossia che si separi dalla madre. Dio è una grande figura della separazione, della differenziazione. Abele era già in movimento. L’etimologia della parola Caino focalizza colui che ha, è solo acquisizione, pertanto deve perdere qualcosa che ha per entrare nella dinamica del desiderio. Caino esce abbattuto e depresso da questo confronto con Dio. Ma poiché Dio non è sadico, interviene e dice a Caino di tenere il volto alto, e gli chiede: ti ho mica fatto qualcosa? Caino non risponde. Possiamo dire che se la parola si interrompe, al suo posto troviamo la violenza. In altre situazioni, quando la violenza cessa, il suo posto è preso dalla parola e dal dialogo. Anche Caino e Abele provano a parlarsi. L’esito di questo dialogo è però l’interruzione della parola e il passaggio allatto violento. Dopo aver dato il sangue alla terra, Caino nasconde la sua mano. Dio gli chiede: «Dov’è Abele, tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». (Genesi 4:1-9). Dio, in questo caso, non aveva impedito il fratricidio, così come intervenne per fermare la mano Abramo con il figlio Isacco. La vita – afferma Recalcati – si umanizza solo in quanto bisogna rinunciare alla violenza, ma per fare questo si deve però passare attraverso la violenza. Bisogna rilevare, a questo punto, che i legami familiari sono extra biologici e che non basta avere lo stesso sangue per costituire la fratellanza, che è frutto di una lunga costruzione. Caino riconosce la sua colpa, ma, allo stesso tempo, Dio non l’assolve. La novità è che non applica la condanna a morte. Dio cerca così di interrompere il processo in cui l’assassino verrebbe assassinato… Nessuno tocchi Caino. Questa è la memoria del lutto. Caino è destinato all’erranza, nell’esilio o nell’esodo, come Edipo.
In conclusione, ogni figlio è un figlio unico, ma non secondo la legge del numero della fratria. Nessun figlio può dirsi il solo figlio al mondo, perché ognuno ha un nome diverso, una sua storia, delle vocazioni diverse. Caino e Abele possono coincidere nella stessa persona.
Salvatore Sasso