“IL GABBIANO (À MA MÈRE)” DI SEPE AL TEATRO QUIRINO
Una poltrona rossa e un lungo pianoforte. Sembra un dipinto rinascimentale la scena – di Uberto Bertacca – che mostra ai nostri occhi “Il Gabbiano (à ma mère)” di Giancarlo Sepe, ispiratosi al capolavoro di Čechov e che sarà in scena fino al 31 marzo al Teatro Quirino di Roma. A “disturbare” questo quadro perfetto, arriva l’oscurità di un simbolismo dai frammenti gotici, appartenenti all’inconscio. Ed ecco il palesarsi dell’incontro tra conscio e inconscio, presente e passato, età adulta e giovinezza: la linea di confine di questi binomi si offusca perdendo il senso del tempo e della memoria stessa, immergendoci in quel meta teatro dalle forme amletiche e di cui il pianoforte stesso diventa palcoscenico.
Massimo Ranieri è lì, seduto su quella poltrona rossa, come sempre sopra le righe, impetuoso e avvolgente sulle note delle canzoni. È suo il ruolo di Kostja adulto che incontra il fantasma di se stesso, interpretato da Francesco Jacopo Provenzano, morto suicida da giovane, amato da Mascia, un’intensa Martina Grilli e innamorato della dolce e seducente Nina, Federica Stefanelli, leggera nella sua ricerca di libertà e, a sua volta, incantata dal romanziere Trigòrin. Kostja è rinchiuso nel rapporto di derisione, odio e amore con sua madre Irina Arcàdina, interpretata da un’elegante e divina Caterina Vertova rapita, anche lei a sua volta, dall’amore verso Trigòrin, un sempre dinamico e tridimensionale Pino Tufillaro che, innescando un vortice di passioni senza ritorno, incanta la giovane Nina.
“Mais mon amour. Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour. De l’aube claire jusqu’à la fin du jour. Je t’aime encore, tu sais, je t’aime”, l’atmosfera è quella delle canzoni francesi del secondo dopoguerra. Un connubio quello tra Giancarlo Sepe e Massimo Ranieri che non può avere altro risultato se non quello di un lavoro delicato e prezioso che arriva a contenere elementi distaccati tra loro ma che, nel momento in cui si incontrano, si fanno fautori di una forte sinergia poetica e artistica. Chapeau!
Marianna Zito