IL FUNAMBOLO di Daniele Salvo al Teatro Vascello di Roma fino al 7 ottobre
“Uomo dell’aria, tu colora col sangue
le ore sontuose del tuo passaggio fra noi.
I limiti esistono soltanto
nell’anima di chi è a corto di sogni”.
Philippe Petit –Trattato di funambolismo, 1999
Il protagonista è un filo, un filo di acciaio di sette millimetri a cui essere grato, che sorregge il funambolo che – con i propri passi – dà ad esso vita innalzando – nel medesimo istante – se stesso a meraviglioso danzatore. Un filo/pedana che divide il palcoscenico in due emisferi, quello reale e quello illusorio – forse – o semplicemente in due riflessi paralleli di un unico sogno che eleva l’artista dal volto truccato di bianco, allontanandolo sempre di più da terra, dal suo essere umano. Un filo che lentamente uccide un amore, un uomo.
Minuscoli lustrini d’oro – che mal cuciti cadono sulla segatura – ricoprono il palcoscenico su cui ci sono una sedia e una bottiglia – simbolo di solitudine sofferta – e dove due ballerini dal passo lieve (Yari Molinari e Giovanni Scura), sulle musiche di Marco Podda, incantano: i loro corpi si intrecciano come a racchiudere in una bolla la storia narrata. Dal pubblico arriva Abdallah Bentaga – Giuseppe Zeno – che introduce con un violino la sua condizione: l’artista è solo e la sua tristezza è poesia.
È il 1956 quando il giovane circense algerino Abdallah Bentaga si lega a Jean Genet, indiscusso poète maudit, e per amore di quest’ultimo consacra la sua vita a camminare sul filo del destino che Genet aveva scelto per lui, fino alla caduta che causa un inevitabile abbandono con la conseguente morte del giovane uomo. E proprio a lui è dedicato uno dei lavori in prosa più belli (1958) di Jean Genet – Il Funambolo – che non scrive per il teatro ma che Daniele Salvo dona alla sua platea sotto forma di parole, danza e musica. Un inno alla morte che precede l’apparizione dell’artista per poi divenire rinascita, una morte legata altresì all’eros. “Il tuo corpo come un sesso turgido eretto” parla così, in modo fitto e continuo Genet – interpretato da Andrea Giordana – come a ripetere le proprie parole a sè stesso, “eccitarti ed eccitare” prima dell’esibizione fino all’arrivo di una Morte – una bravissima e coinvolgente Melania Giglio – dalle sembianze e dalle acrobazie tipicamente circensi e accompagnata da figure con costumi a righe che rimandano alla vita marginale dei bassifondi vissuta tra gli anni ’30 e gli anni ‘50 da Jean Genet.
Una danza surreale, quella di Daniele Salvo, che si sviluppano in una scenografie di corpi a confondere le molteplici realtà dove prende sempre il sopravvento la solitudine interiore del protagonista, dell’artista.
Al Teatro Vascello di Roma fino al 7 ottobre. Non mancate!
Marianna Zito
Vedi anche: http://modulazioni-temporali.webnode.it/news/creativita-di-philippe-petit/
Maggiori informazioni http://modulazioni-temporali.webnode.it/news/il-funambolo-di-daniele-salvo-al-teatro-vascello-di-roma-fino-al-7-ottobre/