Il duo jazz Marco Vezzoso e Alessandro Collina e il loro “Italian Spirit” – L’intervista
Oggi 6 novembre esce “Italian spirit” (Egea Music / Art In Live), il nuovo disco del duo formato da Marco Vezzoso, trombettista, e Alessandro Collina, pianista, che contiene undici tra i brani più belli della musica italiana degli ultimi trent’anni. È già uscito, come apripista, il singolo e video della versione strumentale di “Sally”, che lo stesso Vasco Rossi ha molto apprezzato e condiviso su instagram e sul suo sito ufficiale. Il sodalizio artistico tra Vezzoso e Collina è iniziato nel 2014 e da allora i due musicisti sono stati in tour in giro per il mondo, in particolar modo in Oriente, riscuotendo un grande successo. Abbiamo raggiunto telefonicamente i due artisti per farci raccontare un po’ di questa nuova uscita discografica.
Oggi esce il vostro quinto disco come duo, “Italian Spirit”. Prima di andare nel dettaglio, ci raccontate quando vi siete incontrati e avete deciso di suonare insieme?
M.V.: è successo in maniera abbastanza naturale: nel 2014 abbiamo registrato il mio primo disco di brani originali e abbiamo iniziato a suonare in giro, nel 2015 abbiamo avuto la fortuna e l’opportunità di poter andare in Giappone per la prima volta, a un festival jazz ad Osaka, dove è cominciata la nostra avventura nei paesi del Sol Levante. A fine 2015, dopo lunghi viaggi in aereo, abbiamo capito che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda sia a livello musicale sia personale e ancora di più nel 2017, quando siamo stati in tour per più di un mese, tutti i giorni insieme. Nel 2018 abbiamo deciso di registrare il nostro primo disco in duo e da lì non ci siamo più fermati.
“Italian spirit” è stato registrato a settembre 2020, molto recentemente, ma la gestazione del disco e la scelta dei brani quanto è stata lunga?
A.C.: dopo l’ultima volta che siamo stati in Cina, a ottobre 2019, su richiesta del nostro agente del posto abbiamo capito che era bene puntare sulla contemporaneità con brani di cantautori contemporanei italiani. Abbiamo iniziato molte ricerche, volevamo scegliere i brani in cui suonare rendeva tutto più facile e più magico. Una canzone italiana col suo testo arriva in un certo modo, se si toglie il testo rimane la melodia, e la tromba deve potersi esprimere in maniera alta. Abbiamo iniziato a scegliere i brani e io, che ho qualche anno in più di Marco, ho ripercoso anche la mia adolescenza con “Balla balla ballerino”, “Pensiero stupendo” e “Sotto il segno dei pesci”. Secondo me la tromba è riuscita a cogliere l’essenza della melodia che, in quel periodo, ascoltavo con le cuffie dal walkman. Per gli arrangiamenti mi sono lasciato coinvolgere dal testo, anche se non c’è: per esempio, in “Balla balla ballerino” il movimento che fa la mano sinsitra vuole richiamare il movimento di un treno, quello che Lucio Dalla aveva immaginato alla stazione di Bologna durante l’attentato del 2 agosto 1980, tutta la canzone è riferita a quel momento triste della storia italiana. Oppure “Pensiero Stupendo”: mi ricordo all’epoca il fascino che emanava Patti Pravo e il testo di Ivano Fossati, così osè per l’epoca e abbiamo cercato di cogliere questi aspetti.
Voi avete pubblicato nel 2018 “Guarda che luna… again” con altri successi della musica italiana, che vanno da “O sole mio” a “Roma non fa la stupida stasera”, ecc.; rispetto a quel lavoro qual è la differenza?
M.V.: la diversità è piuttosto concettuale, in quanto italiani non abbiamo mai la percezione di quanto la melodia italiana sia importante, soprattutto all’estero. Chi stereotipa di più gli italiani sono gli italiani stessi, e per noi andare all’estero, a diecimila chilometri da casa, voleva dire suonare brani classici melodici che tutti possono conoscere. Questo era lo spirito di “Guarda che luna… again”, brani che hanno segnato un’epoca. Nel 2019 andando in Cina e in Giappone ci siamo resi conto che la melodia italiana ha una grande potenza, anche quella contemporanea, che non ha niente da invidiare a melodie storiche come “O sole mio”, ed è per questo che il nuovo disco ha questo spirito italiano contemporaneo, perché ripropone delle melodie che sono già entrate nella storia.
“Sally” è il vostro primo singolo, sulla copertina del disco è raffigurata una lampada giapponese con gli ideogrammi per “Sally”. Cosa rappresenta “Sally” per voi?
A.C.: la lampada giapponese è stato l’inizio del nostro percorso fatto insieme, la scritta era il minimo omaggio che potevamo rendere non solo al brano, ma proprio a Vasco Rossi, perché si è dimostrato un grande artista e una grande persona. Nel momento in cui ha visto il nostro video composto di immagini registrate in Cina e ha sentito l’esecuzione di “Sally” non ha esistato a pubblicarlo sulla sua pagina instagram. Puoi immaginare la reazione mia e di Marco quando abbiamo trovato la notifica del tag di Vasco Rossi, ci ha messo anche sul suo sito e ne siamo orgogliosi. Noi siamo musicisti legati più alla musica strumentale, qui abbiamo osato, ma eravamo consapevoli del fatto che il brano offriva tanti spunti sui quali potevamo giocare, con tante variazioni dal punto di vista dinamico, melodico e stati d’animo che il pubblico ha percepito subito. Ci abbiamo scommesso, ma il brano ne valeva davvero la pena. Il management di Vasco ha apprezzato molto il fatto che siamo stati anche i primi a proporre Vasco Rossi in chiave jazz e questa cosa ci fa onore. In Italia si tende a fare distinzione tra i generi: jazz, rock, ecc., io e Marco amiamo il nostro mestiere e la musica in generale, basta che sia bella, e amiamo molto viaggiare. Io ho avuto la fortuna di suonare tanto con un musicista americano che ha fatto la storia del jazz e lui mi ha sempre detto “quando suoni con qualcuno ti devi anche divertire”: io e Marco ci facciamo scherzi, ridiamo tantissimo e questo è alla base di tutto e finché ci sarà l’80% di questo spirito, il sodalizio continuerà. Andiamo d’accordo su tante cose e abbiamo visto tante cose diverse che ci hanno influenzato dal punto di vista musicale, siamo molto eclettici. “Italian spirit” non è un disco di jazz perché noi arriviamo da esperienze classiche, jazz, in cui magari ci lasciamo catturare da musica etnica e non disdegniamo il pop se è fatto bene. Nel disco proponiamo un modo nuovo per poter avvicinare le nuove generazioni, altrimenti si rischia di suonare un po’ troppo per se stessi. Vogliamo fare qualcosa che ci fa piacere e che ci piace e andando all’estero abbiamo capito che la musica italiana nel mondo è importante e va portata nel mondo.
M.V.: non è un disco jazz, ma quando abbiamo proposto questo disco al jazzista più famoso d’Italia chiedendo due note di copertina, Paolo Fresu, che è sempre stato il mio idolo, le ha scritte, parole molto toccanti per la musica che abbiamo fatto, che ci hanno dato un valore aggiunto e la volontà di continuare in questa direzione con la consapevolezza che questo nuovo filone può funzionare. Grazie all’appoggio morale di Fresu abbiamo ancora più voglia e forza per continuare.
“Italian spirit” contiene due brani cantati: “Enfant prodige” con alla voce Marie Foessel e “Stasera che sera” con la voce del crooner Andrea Balducci; come sono nate queste collaborazioni? Inoltre il brano di Conte viene cantato da una donna e quello dei Matia Bazar da un uomo, è stata una scelta voluta?
A.C.: collaboriamo con entrambi i cantanti e avevamo piacere che partecipassero a questo disco per vivacizzare e dare un piccolo spazio alla voce in alternativa allo strumentale. Con Marie Foessel abbiamo un bellissimo progetto in Francia, in cui riproponiamo i classici del repertorio di Paolo Conte in chiave femminile, quindi è stata scelta “Enfant prodige”, anche se con lei in Francia proponiamo le canzoni di Paolo Conte anche in italiano, è un tributo che ci dà molte soddisfazioni e appena si normalizzerà la situazione in Francia riprenderemo anche i concerti. Andrea Balducci è un altro amico che da diversi anni si è trasferito a New York, fa il crooner italiano a Manhattan, lo abbiamo voluto coinvolgere in una canzone di chiara fama dei Matia Bazar, ma per l’arrangiamento io e Marco abbiamo voluto fare i jazzisti puri, una cosa molto estemporanea, da club, fumosa, quindi molto immediata, in contrapposizione a tutto il resto del disco, che è molto pesato e pensato anche a livello di successione delle parti. Andrea con la sua voce e il suo timbro l’ha resa veramente interessante e ci è piaciuto molto.
I vostri prossimi progetti quali sono? Lancerete un altro singolo o avete in serbo altre cose?
M.V.: abbiamo in serbo delle cose, ma non posiamo dirle, possiamo comunque anticipare che nel 2021 ci sarà un progetto di inediti.
A.C.: l’unica cosa che posso anticipare è che il compositore tra i due è sempre stato Marco, io ho sempre avuto più il piacere di riarmonizzare, ma lui mi ha stimolato e spronato, per cui abbiamo fatto un lavoro particolare. Tutto il progetto era già partito durante il lockdown, io buttavo giù delle idee a livello armonico, gliele passavo e lui ha cominciato a scrivere delle melodie. Del progetto parleremo in seguito perché va in un’altra direzione, proprio perché il piacere di fare musica è a trecentosessanta gradi.
Ci sarà un altro singolo estratto da “Italian spirit”?
A.C.: Sicuramente due, ma non possiamo svelarlo.
Questo periodo è complesso, voi vivete in due posti lontani, come vi siete regolati per provare e registrare il disco?
A.C.: siamo relativamente lontani, ottanta chilometri di distanza. Io sono di base ad Albenga quindi non sono molto lontano. Tutto sommato abbiamo avuto la possibilità di vederci in maniera frequente e di suonare insieme.
M.V.: c’è però una cosa che negli anni si è affinata molto: ci diciamo sempre “abbiamo tanti chilometri dietro di noi”, nel senso che abbiamo fatto tanta strada insieme, e in realtà oggi il bisogno di vedersi è sì importante, ma il feeling lo si trova subito, anche se stiamo per alcune settimane o anche un mese senza suonare. Dopo i primi accordi è come se assimo provato il giorno prima.
A.C.: mi viene in mente un piccolo aneddoto del 2017: arriviamo da un concerto in Indonesia, prendiamo l’aereo alla sera, viaggiamo tutta la notte, sbarco a Manila, sbarco a Singapore, arriviamo a Kyoto e ci dicono di andare direttamente dove dovevamo suonare! Puoi immaginare che queste cose portino a un livello tale per cui adesso proviamo per il piacere di vederci.
Qual è stato per voi un momento particolarmente importante di questa vita in tour? Per voi c’è qualcosa che non viene colto dal pubblico italiano rispetto al pubblico estero?
A.C.: uno dei momenti più significativi è stato il concerto a Tokyo in una sala con circa settecento / ottocento persone, dove per “metterci a nostro agio” il responsabile della sala ci ha detto “sapete come funziona un concerto giapponese? Di solito gli spettatori, se non gradiscono, si alzano e se ne vanno”, quindi puoi immaginare come abbiamo iniziato a suonare. Fortunatamente ci hanno chiesto tre bis, io e Marco ormai ci trascinavamo, eravamo stremati, dopo i primi brani eravamo attenti a guardare se qualcuno si alzava. Diciamo che la forza della musica, se ti senti a tuo agio e hai la voglia di esprimerti, porta verso direzione giusta.
M.V.: la grande differenza tra il pubblico italiano e quello estero, soprattutto in Asia, è che si tratta di un pubblico molto curioso, ha la curiosità di andare a vedere o sentire artisti che non conosce per farsi un’idea. A volte il pubblico europeo, e anche italiano, è un po’ prevenuto, se non conosce l’artista vuol dire che non vale. In realtà, avere un po’ più di curiosità e andare a vedere qualcosa che non si conosce fa la differenza per avere delle sorprese, anche belle.
Roberta Usardi
Fotografia di Paola Sibona
www.marcovezzoso.com – www.alessandrocollina.it – www.artinlive.org