“IL DIO DELLA SOLITUDINE” DI PHILIP SCHULTZ
“Le mie poesie saccheggiano quasi tutto, timori, progetti, congetture e stupori, cercano prove di infedeltà, frammenti di ispirazione. Indifferenti alla sofferenza che descrivono, odiano tutto quello che amo, credono solo nella loro insularità”.
È spesso un ricordo, custodito nella memoria del tempo, la prima fonte di ispirazione per le poesie di Philip Schultz nella raccolta “Il dio della solitudine”, a cura di Paola Splendore (Donzelli Editore 2018, pp. 224, euro 17). Ricordi di un vissuto a volte drammatico, a volte normale, raccontato attraverso una poetica sofferta ma semplice e pulita.
Schultz, figlio di emigranti provenienti dai margini dell’impero russo agli inizi del XX secolo, nelle poesie spesso ripercorre momenti e passaggi fondamentali della sua vita: l’infanzia emarginata a Rochester (NY), la precarietà esistenziale degli anni giovanili, quando era in corso la guerra del Vietnam, il senso di stupore per il successo inaspettato, giunto in età matura, come anche la possibilità di formare una propria famiglia, come scrive in una poesia – Non mi aspettavo di avere una famiglia/ non mi aspettavo la felicità – (Philip Schultz, Modelli). A dominare la sensibilità del poeta è la figura dei genitori, ai quali dedica versi molto delicati, ma spesso anche molto severi. Tante le poesie dedicate a loro, soprattutto alla madre, figura archetipa impietrita nel silenzio/ come una mosca catturata nell’ambra (Philip Schultz, Storia personale). Assecondare i ricordi attraverso una scrittura fortemente emotiva, sembra un’esigenza necessaria per Schultz, quasi come un bisogno di riconciliazione con un passato mai acquietato del tutto. La sua poetica è quindi concentrata sul quotidiano, sempre volta a interrogarsi e interrogare, in monologhi o dialoghi con interlocutori ormai assenti, evocati da gesti capaci di risvegliare antiche emozioni che Schultz traduce in poesia.
Ne “L’abbraccio con il tempo”, indispensabile postfazione per meglio comprendere la poetica di Schultz, Paola Splendore scrive: “Il passato è una estensione feconda e struggente che contempla il fantasma dei detriti, la promessa della vita felice, l’abbandono a una grazia da conquistare, ma anche la fitta di ciò che è andato, la dimidiata coscienza del popolo e le figure che abitano la scena del mondo, come l’uomo che piange il giorno del sessantunesimo compleanno: è la purezza del dolore, la santità del vero, la genuina umanità dei volti di sua moglie con le sue mani nel mare scuro”. Così disvela il dolore e la malinconia, dimora nella perpetua frattura della solitudine e nell’anima che invecchia fino a riempire la cantina di ciò che si fa fatica a portare dietro, assieme ai fantasmi:
E mia moglie, c’è così tanto / che non le ho detto di recente, / di quanto veloce invecchia la mia anima, / una cantina che continuo a riempire / di tutto quello che sono stanco di portarmi dietro. / Potrei fare due passi con lei e cercare / di spiegare i fantasmi con cui parlo senza sosta. / O mettermi a leggere tutti quei libri accatastati / sull’inizio della fine della ragione… / Intanto, è così bello stamattina, / i colori che cambiano, la luce ipnotica. / Potrei sedermi accanto alla finestra a guardare le foglie, / che sembrano sapere esattamente come cadere / da un momento all’altro. O potrei lasciar perdere / tutto e ricominciare da capo (Philip Schultz, È domenica mattina ai primi di novembre).
È il dio della solitudine, tremante nelle luci dell’alba, che vive nelle perdite riparate, nella base dei sogni e nelle mani nude:
Questi uomini riparano perdite, gettano / le basi per i sogni degli altri uomini senza lamentarsi. Hanno aspettato al freddo fin dei tempi in cui Enea / fondò Roma su fiumi di sangue. Virgilio capiva che / la morte comincia e non ha mai fine; che è il dio della solitudine. […] Sembra che gli altri non sappiano cosa fare delle mani, / se le ficcano sotto le ascelle, o le lasciano cadere, / nude e inutili. È perché le nostre mani ricordano / quel che portavano, le promesse fatte? So / esattamente quando i miei figli avranno l’età per la guerra. / Presto tre di noi si metteranno in fila da Target, il negozio di fronte, / perché questo fanno gli uomini per i figli (Philip Schultz, Il dio della solitudine). Paola Splendore, L’abbraccio con il tempo.
Un libro prezioso, questo edito da Donzelli. Un libro per imparare a vedere la poesia in ogni cosa. Vedere come anche il dolore più grande, può impregnarsi di bellezza poetica.
Letizia Chippari