IL DIARIO DELLA BICICLETTA E ALTRI RACCONTI DI NATSUME SŌSEKI
In questo piccolo libro “Il diario della bicicletta e altri racconti” (Lindau, pagg. 95, euro 12, traduzione di Muto Tamayo) sono tradotte, per la prima volta in italiano, tre opere brevi (shōhin – piccole opere) di Natsume Sōseki (1867-1916, considerato uno degli scrittori più importanti del ‘900). Scritte in diversi periodi, narrano spesso con ironia, a volte con malinconia, ma sempre con una scrittura dallo stile raffinato, momenti di vissuto personale, dove, bilanciando egregiamente fatti autobiografici e finzione narrativa, l’autore manifesta la grande ingegnosità con cui queste opere sono state costruite. Tutti e tre gli shōhin sembrano pagine di diario, dove il punto di vista, ovvero il narratore, è l’io in prima persona.
Il primo racconto, “Il diario della bicicletta” (Jitensha Nikki) è ambientato in Inghilterra, dove nel 1900, all’età di trentatré anni Natsume Sōseki si era recato su incarico del Ministero dell’Educazione, per compiere ricerche sulla lingua inglese. Racconto molto autoironico, narra del periodo di profonda depressione che lo scrittore dovette affrontare in seguito alla permanenza in una terra con abitudini così diverse dal Giappone. Per contrastare gli effetti della malattia gli fu consigliato di fare esercizio fisico all’aria aperta, magari imparando ad andare in bicicletta. Ed è proprio il racconto dettagliato, ironico e ben misurato, delle peripezie che portarono Sōseki in sella a una sgangherata bicicletta, a renderne godibile la lettura. Lettura che resta piacevole nonostante i continui rimandi alle note a margine, indispensabili per comprendere i tanti riferimenti alla letteratura classica cinese e giapponese e alle arti letterari popolari come il kōdan (arte della narrazione orale di avvenimenti storici come i racconti di guerra) che rivelano la ricchezza della cultura di Natsume Sōseki.
Nel secondo racconto, “Il fringuello di Giava” (Bunchō), si può ammirare una scrittura più poetica, breve e ritmata come un haiku (breve componimento poetico). Intriso di malinconia e di bellezza, questo racconto ci porta a vedere, attraverso le parole scelte sapientemente dall’autore – nel lavoro di traduzione di Muto Tamayo – prima il candido uccellino, a sentirne il canto e lo stato d’animo che lo anima; poi il ricordo di una donna, promessa in matrimonio ad un altro e chiusa nelle pieghe del tempo; un ricordo che riaffiora rievocato da un movimento del collo dell’uccellino o dal battito dei sui piccoli occhi neri. Qui, come poi ancora più esplicito nel terzo racconto, è chiaro il riferimento al matrimonio, visto dal punto di vista delle donne. Agli inizi del novecento in Giappone era in uso la tradizione che fossero le famiglie a combinare i matrimoni, così accadeva che giovani donne si ritrovassero spose a dei perfetti sconosciuti, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili. “Dato che è ancora una bambina, si convincerà ad andare ovunque le diranno. Una volta lì, non potrà più andarsene facilmente. Nel mondo, ci sono molte persone che finiscono per cadere soddisfatte nell’infelicità”.
Nel terzo racconto, La lettera (Tegami), Natsume Sōseki racconta un momento storico di cambiamento in un Giappone influenzato dalla cultura occidentale che aveva introdotto l’idea che andasse rispettata la volontà dell’individuo e la libertà di scelta. Quindi, per armonizzare due aspetti così in contrasto fra loro – il desiderio dei genitori di decidere per il matrimonio dei propri figli e il desiderio dei figli di scegliere in autonomia con chi sposarsi – si giunse all’unica forma corretta o civile di matrimonio concepita a quel tempo: un matrimonio tramite intermediario, derivato dall’usanza dei samurai. Ne La lettera, Sōseki racconta, attraverso l’espediente di una lettera ritrovata, della propria intermediazione tra due giovani promessi sposi e le loro famiglie.
Immenso il lavoro di traduzione di Muto Tamayo, al fine di rendere intatto l’intento dell’autore, ancor più chiarito nella postfazione, dove possiamo avere ulteriori chiavi interpretative delle opere.
Letizia Chippari