FABRIZIO GIFUNI IN “CONCERTO PER AMLETO” – QUINTESSENZA DI CORPO E VOCE, MUSICA E PAROLA VIVENTE IN SCENA
“Amleto, Amleto, Amleto…”. Cosa è oggi, ancora per noi e per un attore, Amleto? Probabilmente il personaggio più impalpabile, sfuggente, ed allo stesso tempo universale mai comparso nella letteratura. Amleto è una quintessenza di parola e suono (alla musica compara il flusso del sangue nelle vene, parlando – non delirando – con sua madre); Amleto vorrebbe che il suo corpo e la sua troppo, troppo solida carne potessero sciogliersi in rugiada, ma – contraddizione sublime – da cinquecento anni continua a farsi carne dai corpi di attori e attrici, e a parlare al presente. Come la musica, Amleto è nel momento in cui viene pronunciato, suonato.
“Concerto per Amleto”, progetto nato cinque anni fa da un’idea del direttore d’orchestra Rino Marrone e dell’attore Fabrizio Gifuni – autori della drammaturgia teatrale e musicale – restituisce al dramma shakespeariano la forza della pura parola vivente in scena e ad Amleto la sua natura di corpo e phonè, voce e musica. Dopo Bari (2013), l’Auditorium Parco della Musica di Roma, il Teatro Massimo di Pescara (2016) e il San Carlo di Napoli (2017), lo spettacolo è appena andato in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 22 al 25 novembre – per la prima volta in una stagione di prosa.
Il dramma del principe di Danimarca si fonde sul palcoscenico all’esecuzione di brani scelti da due composizioni di Dmitrij Šostakovič (1906-1975): op. 32, ovvero le musiche di scena per Amleto di Nikolai Akimov (1932), e op. 116, musiche per il film Amleto di Grigori Kozintsev (1964). Più di trent’anni separano le due partiture, e i diversi toni e stili – in una gamma che va dall’epica della battaglia al canzonatorio dedicato alla descrizione della corte di Claudio, assassino e usurpatore – insieme compongono il racconto sonoro, eseguito in questa occasione dall’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, diretta dallo stesso maestro Marrone. Non siamo di fronte ad un concerto di musica classica o un melologo, come neanche ad un reading teatrale con accompagnamento. I musicisti sono corpi in scena, parte integrante di un campo tensivo che coinvolge palco e platea e che ha fulcro nel corpo scenico di Amleto, Fabrizio Gifuni; allo stesso modo la drammaturgia si focalizza sulla figura del principe, scavando a fondo nella sua mente, nei suoi pensieri, nelle sue reazioni. Gli altri personaggi emergono da Amleto. L’interpretazione dell’attore si distacca da qualsiasi trappola costituita dall’iconografia e dalla tradizione teatrale, e se ad un certo punto sembra chinarsi come per raccogliere da terra un teschio, il gesto successivo e quello di lanciarselo (e lasciarselo) alle spalle. Il corpo di Gifuni è pienamente strumento, si lascia attraversare dalla musica e sembra intercettare e restituire vita ad ogni scintilla emotiva racchiusa nelle parole che porta su di sè; si muove sul palco, entra financo in contatto con l’orchestra, la rende, come si diceva, parte dello stesso respiro scenico.
Fabrizio Gifuni con il Concerto dà prova di altissima maturità artistica, oltre che di una profonda e personale padronanza del personaggio, raggiunta in un percorso di frequentazione intenso ed ininterrotto cominciato, come spesso ricorda, ai tempi della formazione presso l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico sotto la guida di Orazio Costa, maestro e pedagogo che ha lasciato un segno indelebile nei suoi allievi. Un ciclo di lezioni durato due anni ed interamente dedicato all’Amleto. “In questo momento noi facciamo questo tipo di lavoro sul personaggio Amleto, ma il vantaggio che ne avrà chiunque un domani si trovi ad affrontare altri personaggi sarà quello di aver guadagnato ‘un fondo di Amleto’…”1 ripeteva Costa. Quel fondo di Amleto è rimasto fuoco vivo nella carriera artistica di Gifuni – fra tutti, come non citare “L’ingegner Gadda va alla guerra, o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro”(2010), dove Amleto e Carlo Emilio Gadda si specchiano l’uno nell’altro, e il confronto lampante è chiave di lettura decisiva per decifrare la personalità dell’Ingegnere, ed individuare quella ferita originaria che lo porta a scatenare la lingua italiana, liberandola di ogni vincolo nella sua opera letteraria. Nel Concerto per Amleto, ultima tappa di questo percorso intellettuale, frutto di studio, passione e cura, il testo di Shakespeare è restituito in tutta la sua forza (anche grazie ad un attento lavoro di confronto ed innesto di diverse traduzioni d’autore, da Cesare Garboli allo stesso Costa, cui Gifuni ha anche affiancato sue traduzioni, oltre a conservare l’originale inglese in alcuni momenti decisivi), e raggiunge questa intensità proprio grazie alla riduzione al cuore essenziale dell’opera, da cui si apre il più rivoluzionario e il più semplice degli orizzonti di senso. Eppure, come perfettamente espresso da Quirino Principe, la sensazione viva è che “la grandezza attoriale dell’artista di cui parliamo non sia una ‘applicazione’ o una ‘conseguenza’ di una strenua ricerca dei significati, ma sia, sulla scena, ogni volta, il rinnovarsi in atto della loro scoperta.”2
“Il Tempo è un bambino che gioca, spostando i pezzi sulla scacchiera: il Regno di un fanciullo” dice, nel prologo, Eraclito (fr. 52 DK). “The play is the thing / wherein I’ll catch the conscience of the King”. “Il Gioco è la cosa /con cui prenderò la coscienza del Re”, gli fa eco Amleto. Amleto è ancora e sempre quel bambino che gioca sulle spalle di Yorick, il buffone di corte. Amleto diventa Yorick (come da intuizione di Orazio Costa). Gli attori che accoglie a corte, come lui e per lui giocano (to play), e giocando intrappolano la coscienza del Re. Tremenda forza del teatro, e delle parole in scena. E così come la regina Gertrude ad un certo punto prega suo figlio di smetterla di parlare, perchè le sue parole la costringono a volgere gli occhi nel più profondo della sua anima, anche in platea, avvolti dall’esecuzione di Šostakovič, ci si sente intrappolati dal gioco amletico di Fabrizio Gifuni, con gli occhi spalancati su noi stessi e sul nostro presente, sul secolo fuori dai cardini che ci accomuna. Amleto è nel momento in cui viene pronunciato, suonato, giocato. Il resto è silenzio.
Mentre il “fondo di Amleto”continua a vibrare.
Mariangela Berardi
Note:
1 – Citazione tratta da “Orazio Costa, Amleto e il metodo mimico”, in http://www.fabriziogifuni.it/formazione/oraziocosta2.html
2 – Quirino Principe, “Fabrizio Gifuni e il ‘Concerto per Amleto’. Visione cosmica e tragica del ludus”, Il Sole 24 ore, 14 ottobre 2016