“I SOGNI DI UN DIGIUNATORE E ALTRE INSTABILI VISIONI” DI PAOLO ALBANI
Poeta visionario, performer, scrittore, membro dell’OpLePo (Opificio di Letterratura Potenziale) e direttore della rivista di bizzarrie letterarie e non Nuova Tèchne. È uno studioso attivo del falso consapevole (ne ha parlato poco più di un mese fa al Macro Asilo di Roma), lo presenta così Paolo Morelli, perché forse questo è Paolo Albani, a meno che anche noi – alla presentazione di “Più Libri più liberi” di “I sogni di un digiunatore e altre instabili visioni” (Exòrma 2018, pp. 306, euro 15,50) ci siamo trovati, senza saperlo, davanti a un… falso letterario!
Un libro di cinquantasei racconti narrati con una lingua raffinata ed elegante – il cui titolo si ispira a Giovanni Succi, un conosciutissimo digiunatore di professione di fine ‘800, arrivato all’autore grazie a Manganelli – una “penna intinta” appunto “nello stesso calamaio di Giorgio Manganelli” – lo descrive così sin da subito Morelli – e in cui troviamo contemporaneamente “la presenza del bastian contrario di Achille Campanile”. Paolo Albani ci parla di queste storie diluite nel tempo – che definisce “racconti bonsai” per la loro brevità – in cui descrive situazioni assurde e strampalate, ricche di una comicità che fa riflettere, mettendo in luce aspetti che non si notano facilmente. Si parla in prima persona di aspettative e sentimenti, fallimenti e contraddizioni toccando sì il paradosso ma arrivando comunque a definire la nostra cruda realtà sociale e politica (vediamo, per esempio, chi non ha casa e occupa le caselle postali!).
I racconti si susseguono in un’omogeneità quasi involontaria, analizzando il tema della visione e di quanto sia cangiante il nostro sguardo di fronte al mondo, che spesso diventa nitido solo nel momento stesso in cui si scrive. “Perché scrive?” è la domanda, “Per capire quello che penso”, Morelli ci ricorda, a questo punto, un bellissimo pensiero di Luigi Malerba. Tutto cambia, tutto si muove mentre noi pensiamo di restare lì, immobili. Ma anche noi cambiamo, pur se nella nostra coscienza continuiamo a sentirci immutati e immutabili, ma questa razionalizzazione non funziona più e allora bisogna andare oltre, bisogna “togliere il fondo alla scatola dei pensieri”, che è ciò che avviene in questo libro. Togliere il fondo al sistema logico, interviene Giorgio Vasta, ovvero penetrare nelle situazioni cercando il nonsense. Ed è questa l’ossessione di Albani, perché proprio nel nonsense l’autore ritrova un’enorme espressione di libertà.
La libertà di cui godono i suoi personaggi, che probabilmente altro non sono se non l’alter ego dell’autore stesso che, sin dalle prime pagine, si avvicina agli interrogativi sull’identità dell’individuo nel mondo e, soprattutto, dell’individuo di fronte a uno specchio, a se stesso. Chi siamo noi? “Madame Bovary c’est moi!”.
Marianna Zito