“I parenti terribili” di Jean Cocteau al Teatro Carignano di Torino
Jean Cocteau ci ha regalato, tra le altre cose, una pièce teatrale degna non solo di nota ma idealmente di una qualche celebrazione. I parenti terribili, del 1938, giunto in Italia nel ‘45, è una travolgente commedia che dimostra la grandezza di questo autore, il quale non solo ha saputo recuperare atmosfere e trama da certi miti greci di e con famiglie disfunzionali, ma si è soprattutto speso per creare, seppur forse involontariamente, un piccolo classico della narrazione teatrale, la cui autorevolezza in fatto di esposizione dei contenuti ma soprattutto dei significati sommersi, qui e là sibilati, risulta assoluta.
C’è una madre innamorata e ossessionata dal figlio; c’è un ragazzo (il figlio) innamorato di una fanciulla che però è stata legata anche ad un uomo più grande. C’è il padre del ragazzo, ovvero l’altro amante della fanciulla; l’amore adulto. E infine c’è la protagonista non dichiarata della vicenda: la zia, sorella della madre, che senza essere corrisposta ama da sempre il cognato, ovvero il padre del ragazzo. C’è l’antichità, c’è l’opera, c’è il mito della famiglia intesa come clan occluso nei propri desideri irrisolti; e infine c’è in qualche modo un’esposizione alla vita che ricorda un po’ i personaggi di Moravia, per esempio. La zia Léonie è l’unica persona ordinata, gli altri son tutti casinisti. Eppure alla fine, quando suonano al citofono e lei va ad aprire, torna in scena dicendo: Era la signora delle pulizie. Le ho detto di andare via. Finalmente, è tutto davvero in ordine. Sullo sfondo, la sorella giace morta nel letto. Un’altra massima pronunciata dalla zia, che ha quasi l’assetto dell’aforisma, è la seguente: Georges, la contraddizione è l’unico lusso che mi voglio permettere, pronunciata con seccata leggiadria all’amato una volta che questo le fa notare come sia lei a fare e disfare i piani per la risoluzione e il nascondimento del fattaccio, del quale comunque nessuno era consapevole, neanche i tre diretti interessati (ragazza, padre e figlio).
La regia è di Filippo Dini, del quale abbiamo avuto il piacere di recensire anche Misery, Il crogiuolo, Casa di bambola e il Prato Inglese, e che allo Stabile ha portato pure Agosto a Osage County. Il testo è stato tradotto da Monica Capuani. Sul palco ci sono: Milvia Marigliano, che incarna senza esitazioni la zia Léonie; Mariangela Granelli, isterica perfetta, Yvonne, madre immolata per il troppo amore; Filippo Dini nel difficile ruolo del padre Georges, risolto con maestria; Giulia Briata per la parte di Madeleine, la giovane dei due amori; e, ultimo ma non per rilevanza, Cosimo Grilli e tutta la compassione che evoca col suo interpretare Michel, l’elemento più indifeso alle violenze.
Una menzione speciale va al reparto che si è occupato di creare la giusta atmosfera estetica. La scena di Maria Spazzi: una grande struttura bianca di pareti simili a una mappa gigante sta giù per il primo segmento, in cui siamo a casa dei terribili, all’eterno capezzale procrastinato della madre, e vien su per il secondo atto in cui invece l’azione si sposta a casa di Madeleine. I costumi di Katarina Vukcevic ci aiutano a intendere le figure come comprese nei loro ruoli, in un certo presunto agio, quello di chi mente a sé stesso tutti i giorni. Idem per le luci di Pasquale Mari, che drammatizzano tutto al momento adatto, e le musiche di Massimo Cordovani.
Lo spettacolo è stato prodotto dal Teatro Stabile di Torino, dal Teatro Bellini di Napoli e dal Teatro Stabile di Bolzano, ed è andato in scena al Teatro Carignano di Torino, dove noi lo abbiamo visto, dal 12 al 24 novembre.
Davide Maria Azzarello