I Guappecartò: il nuovo video e le emozioni del disco “Sambol – Amore Migrante” che toccano il cuore – L’intervista
Perugia, anno 2004: l’attrice Madeleine Fischer assiste a un concerto di un gruppo di musicisti di strada e li apprezza così tanto per il loro talento che chiede loro di comporre la colonna sonora di un suo cortometraggio. Da quell’incontro sono nati i Guappecartò. Successivamente partono per Parigi, dove si sono stabilizzati e vivono ancora oggi. I guappi di cartone hanno pubblicato, dal 2004, quattro dischi e vantano tantissime collaborazioni, non solo in ambito musicale. Il loro ultimo lavoro discografico è “Sambol – Amore Migrante” uscito nell’autunno 2019, che ha portato al quintetto svariati riconoscimenti, tra cui il primo premio al Farcume Festival Iternational de Curtas-Metrangens de Faro per il video di “Balkanika”. All’incirca un anno fa, i Guappecartò hanno presentato l’ultimo disco al Cafè de la Danse di Parigi, un sold out memorabile: da quel concerto è tratto il loro nuovo video, la versione live di “Sorgen”. Abbiamo raggiunto telefonicamente uno di loro, Dr Zingarone, il fisarmonicista, per farci raccontare qualcosa in più.
È uscito da poco il video di “Sorgen” tratto dal concerto dal vivo di un anno fa a Parigi al Cafè de la Danse, avete la registrazione dell’intero concerto o solo di alcuni brani?
Abbiamo dovuto scegliere solo tre brani perché la sala non permetteva la ripresa totale del concerto. Tra i tre abbiamo scelto “Sorgen”, a cui tenavamo parecchio perché è stato uno dei brani più “deformati” del repertorio di Vladimir Sambol. Da uno swing in maggiore, come era scritto, è passato a un arrangiamento con molti colori e immagini che ci fanno molto emozionare, soprattutto nella parte finale, per questo abbiamo scelto di filmarlo.
Quali sono gli altri due brani che avete filmato?
“Balkanika” e poi “Chance”.
Di “Balkanika” è già uscito il video ufficiale, che ha vinto un premio importante, prossimamente sarà la volta di “Chance”?
Sì, magari lo facciamo uscire più avanti. Questo è un periodo molto particolare, ci stiamo tutti reinventando per tenerci attivi e in contatto con il pubblico, è importante far vedere che ci siamo anche se è uscito un video che risale all’anno scorso.
Dato che hai accennato a come “Sorgen” sia stato completamente rivisitato rispetto all’originale, che tipo di brani avete trovato tra le composizioni di Vladimir Sambol? E quanto li avete modificati?
Gli spartiti erano scritti in modo semplice, per pianoforte, con mano destra e mano sinistra. In Vladimir Sambol c’era una bella curiosità, nonostante si tratti di musica risalente a quasi un secolo fa. Ci sono brani di molti generi diversi, alcuni più di ispirazione balcanica, ma anche tango, beguine, valzer. Il suo stile era molto variopinto ed è la cosa che ci ha fatto sentire molto simili a lui: nella curiosità musicale verso l’esterno. Noi siamo quasi tutti compositori, ma con gusti completamente diversi: ognuno di noi ha scelto dei brani da strutturare e modificare per proporli successivamente al gruppo durante gli arrangiamenti. Alcuni sono stati completamente stravolti, come ”Tango (Invocazione)”, mentre “Anonimus Fiumanus” è un vero e proprio tributo, un regalo arrivato durante le registrazioni. Mentre eravamo in studio Mirjam ci ha mandato un file musicale in cui Vlado e sua moglie suonano “Anonimus fiumanus”. Abbiamo lasciato quel file nel cd e anche nel live c’è un momento in cui loro sono con noi sul palco. Lo abbiamo poi continuato aggiungendo delle parti. “Tango (Invocazione)” e “Anonimus Fiumanus” sono agli estremi della gamma dei colori che abbiamo utilizzato per riarrangiare Sambol.
Nel repertorio di Sambol quanti brani c’erano? Nel vostro disco ce ne sono nove.
Ce n’erano tantissimi, e in realtà nel disco le tracce sono più di nove, alcune di esse sono composte da più brani, ad esempio “Cvijetak” che ne comprende due. In tutto sarebbero forse tredici brani. Il repertorio era molto ampio e ci è costato due anni di lavoro, se si fosse ampliato ancora avremmo dovuto lavorarci sopra tanto, anche perché le nostre fasi di arrangiamento possono durare veramente a lungo. Quando ci vediamo passiamo anche sedici ore a suonare, siamo molto perfezionisti. A noi si aggiunge il nostro produttore Stefano Piro che partecipa all’arrangiamento, è un orecchio veramente prezioso ed è prezioso in generale per i Guappecartò, è il sesto elemento del gruppo.
I titoli dei brani sono stati modificati o sono gli originali?
Sono quasi tutti gli originali. In realtà il titolo originale di “Chance” era in svedese e la traduzione era “dai una chance all’amore”, ma abbiamo deciso di tenere solo “Chance” per semplificare. “Balkanika” si chiamava così, era un ritmo balcanico, che però abbiamo completamente stravolto.
Cosa mi dici della grafica della copertina del disco?
Si tratta di un collage che ha fatto il violinista immaginando la storia di Vlado, anche se Vlado non era fisarmonicista. È lo stesso personaggio che viene raffigurato nel video di “Balkanika”. La fisarmonica è il simbolo dei musicisti viaggiatori e la donna a fianco a lui dovrebbe essere la figlia. Alla fine preferiamo lasciare l’interpretazione libera per chi la vede.
Nel disco ci sono anche degli ospiti, come li avete coinvolti?
In sedici anni di carriera si ha la fortuna di incontrare tanti musicisti, come Daniele Sepe, un maestro impressionante, o Francesco Arcuri, che ha fatto un lavoro incredibile di sound design, o il duo che abbiamo conosciuto a Parigi, Adele Blsnchin che suona il didgeridoo e Jeremy Nathag alle percussioni, coinvolti in “Sorgen”. Alle percussioni ha suonato anche Marzouk Mejri e al violoncello abbiamo avuto il piacere di ospitare Vincent Segal, un musicista di fama internazionale, che suona in modo molto personale e con un stile di world music molto difficile da trovare. Ci è sempre piaciuto ospitare musicisti nei nostri album.
Prima di incontrare Mirjam stavate lavorando al vostro prossimo disco?
Stavamo già iniziando a lavorare a un nuovo album, poi è arrivata Mirjam durante la tournée e ci ha fatto la sua proposta. All’inizio eravamo un po’ scettici, anche se ci aveva colpito molto l’amore che una figlia potesse provare per suo padre. Siamo stati coinvolti in un momento in cui stavamo diventando papà ed è stata una parentesi molto bella, che ci ha dato tanto sia umanamente sia musicalmente e che ci ha permesso di sperimentare cose mai fatte prima: prendere una chitarra elettrica o un basso elettrico, usare suoni diversi, così come coinvolgere un sound designer. Ci siamo messi in gioco molto e questa esperienza è un bagaglio che ci porteremo dietro per il futuro.
Quello su cui stavate lavorando è rimasto in stand by?
Sì, e si sono aggiunte altre cose. Il lockdown per la maggior parte degli artisti è stato un modo di andare acora più a fondo in se stessi, continuando a comporre e a esprimersi con la propria arte. Ora dobbiamo capire cosa fare con il materiale perché sta diventando troppo e va messo nero su bianco.
Avete in mente di riprendere il tour che si è interrotto?
Ci piacerebbe molto: abbiamo trovato una formula che fa capire al pubblico in poche parole la storia di Vlado. Ci sono state scene molto toccanti dopo ogni concerto: gente che è venuta ad abbracciarci, ma anche persone che compravano il cd a prezzo molto superiore rispetto a quanto indicato. Anche noi ci abbiamo messo un po’ a raccontare la storia senza piangere troppo sul palco perché ci ha coinvolto moltissimo.
Lo scorso 29 novembre avete partecipato a Parigi a un concerto itinerante per le strade, come si è svolto?
Un comune di Parigi ha voluto portare la musica sotto le finestre delle persone, le “persone confinate” come si dice qui. In Francia non si chiama lockdown, ma confinement, e noi abbiamo accettato subito. È stata un’esperienza molto bella ed emozionante perché noi eravamo a digiuno di concerti e la gente era a digiuno di musica e abbiamo capito quanto è prezioso questo lavoro. Anche se faceva freddissimo abbiamo suonato tre set da mezz’ora in punti diversi, ma gli sguardi delle persone ci hanno riscaldato. A breve uscirà un resoconto video.
Avete sedici anni di carriera alle spalle, sono tante le vostre esperienze in diversi ambiti (cinema, teatro, audiolibri); cosa vi piacerebbe ripetere?
La collaborazione con altri artisti è sempre qualcosa che arricchisce tanto, poi se proviene da altre forme d’arte ancora di più, sappiamo che può creare un rapporto di complicità unico. Amiamo il cinema e ci piacerebbe fare una colonna sonora dalla A alla Z, finora abbiamo partecipato a colonne sonore con altri musicisti, come per Gatta Cenerentola. Quando si fa musica strumentale le immagini calzano a pennello. È stata bella anche l’esperienza teatrale, in cui siamo stati anche gli attori perché era stato cucito uno spettacolo su di noi, ma fare l’attore è un duro mestiere, è stata una fatica.
Una curiosità, siete un gruppo misterioso, non ci sono i vostri nomi veri da nessuna parte, solo dei soprannomi… come mai?
Perché fa parte della filosofia del nome Guappecartò, è un modo per non prendersi troppo sul serio, è una cosa molto italiana avere il soprannome, ci chiamiamo così da sempre.
Leggendo la vostra biografia vi siete scoperti band grazie a Madeleine Fischer che vi ha trovato, in seguito invece vi ha trovato Mirjam Sambol, se poteste scegliere una terza donna da incontrare, quale scegliereste?
Le donne ci hanno dato tanto, è una domanda complessa. Nel 2016 abbiamo partecipato a un album dedicato alle grandi donne, “Amay”. Io sono molto affascinato da Maria Montessori, alla fine rimaniamo sempre un po’ bambini. O anche Frida Kahlo. Madeleine si definiva la nostra sorella minore, aveva una saggezza che andava al di là dell’essere saggio, era molto umile e indicava la via senza forzature. La incontrerei ancora volentieri. Purtroppo è mancata lo scorso aprile ed è stato un duro colpo per noi.
Avete mai pensato di coinvolgere una voce?
Il gruppo è nato con più voci, quando Madeleine ci mise insieme aveva scritto un film musicale, c’eravamo noi, cantanti e altre persone, ma proprio da quell’esperienza abbiamo capito che non volevamo includere delle voci. La voce ha un potere forte nella musica in generale, una volta che la metti non la puoi più togliere. Prima cantavo nei Guappecartò alla fine del repertorio: quando non avevamo ancora una vera forma suonavamo delle musiche tradizionali del sud Italia e ci siamo resi conto che dopo un’ora e un quarto di musica strumentale, la voce creava spaesamento. Noi non escludiamo mai nulla, ma l’universalità che dà la musica e il modo di comporre senza una voce non è lo stesso di quando la voce c’è. Se subentrasse una voce per un nuovo progetto cambierebbe il nostro linguaggio.
Ora una domanda a carattere culinario: siete italiani in Francia, quale piatto francese, che non c’è in Italia, amate di più?
Da due generazioni i francesi si sono dimenticati di cucinare: mentre gli italiani mantengono ancora la cucina popolare, qui non c’è la tradizione, le ricette evolvono, non c’è stato il passaggio di generazione in generazione. Quando si va a casa di qualcuno in Francia si assaggiano buoni prodotti, come il formaggio o i salumi, ma è diverso rispetto a una cena da noi in Italia. Forse l’unica cosa che hanno i francesi che noi non abbiamo sono i formaggi, che loro mangiano dopo cena. E hanno anche dei vini meravigliosi.
Cosa ti manca in particolare della cucina italiana?
La mozzarella e i latticini. E il caffè del bar.
Roberta Usardi
Fotografia di Antonio Carola
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