“I FRATELLI KARAMAZOV” – INSUPERABILI GLAUCO MAURI E ROBERTO STURNO ALLA PERGOLA DI FIRENZE
Dostoevskij non si recita, si interpreta e non è da tutti riuscire a portare in scena il romanzo più articolato e complesso del grande scrittore russo. “I Fratelli Karamazov” – al Teatro della Pergola di Firenze sino al 3 febbraio – ha una trama articolata, piena di colpi di scena, di repentini cambiamenti.
Incentrato sulle vicende della famiglia Karamazov, composta dal padre Fedor, lussurioso e dissipatore e dai figli, avuti da mogli divers: Dmitrij, libertino quanto il padre con il quale condivide la passione per la stessa donna; Ivan, razionale, diviso tra la volontà di credere in Dio e il rifiuto della fede; Alesa, novizio in un monastero e Smerdijakov, epilettico e crudele, nato da una relazione illegittima di Fedor con una demente e rilegato al ruolo di servo. Con l’eccezione di Alesa, tutti odiano il padre, il quale sarà ucciso per mano di Smerdijakov che ha agito incoraggiato dai discorsi parricidi di Ivan. Tuttavia, tutti alla fine sono da ritenersi responsabili, perché ognuno di loro è “il doppio dell’altro”.
Ridurre la monumentale opera di Dostoevskij in una rappresentazione scenica di poco più di due ore, riuscire a incastrare in tempi teatrali i temi fondamentali attorno ai quali si muovono i vari personaggi, quali la colpa, l’accettazione della sofferenza, la ricerca dell’amore universale, la libertà di scelta, l’esistenza di Dio, non è di certo impresa facile. La Compagnia Mauri – Sturno ci riesce e nel migliore dei modi, lasciando intatta l’originaria ambientazione provinciale lontana dai salotti degli zar, con protagonista una famiglia squallida e miserabile, in un impianto scenografico superbo, senza dimenticare i costumi sapientemente non legati a una individuazione geografica, ma collocabili in un tempo che potrebbe benissimo essere ieri o anche oggi. Ci si dimentica allora di essere in una degradata provincia russa dell’800, perché I fratelli Karamazov potrebbero essere benissimo personaggi di una provincia qualsiasi in una terra qualsiasi e perché anche allora, come oggi, la giustizia non riesce a fare giustizia, condannando non il vero colpevole, ma il figlio sbagliato, in una storia dove la colpa di uno diventa coralmente la colpa di tutti.
Grande Glauco Mauri nell’interpretare la figura di Fedor, il padre, riuscendo a modulare con sapienza e mestiere le molteplici sfaccettature richieste, lussuria, arroganza, menzogna, così come tutti gli altri che, come si diceva, riescono “non a recitare” ma “a interpretare” una storia che non ha margini di riscatto, una storia che scava nell’animo umano e nei suoi oscuri abissi, senza misericordia seppure con pietà. Grande oltre misura Roberto Sturno che sul palcoscenico ci mette veramente l’anima, così che quando il sipario si chiude, le luci si riaccendono e assieme a tutta la compagnia si offre all’applauso del pubblico, c’è ancora in lui il respiro affannoso, la scompostezza degli abiti, il sudore e la gioia negli occhi, la coscienza di una insuperabile e superba interpretazione.
Francesco De Masi
Foto di Manuela Giusto