I Dubioza Kolektiv tornano con il nuovo album “#fakenews”
Si chiama “fakenews” il nuovo album dei Dubioza Kolektiv per l’etichetta Menart, un disco capace di fondere reggae, elettronica, dub e rock, che si avvale anche di prestigiose collaborazioni: Manu Chao, Earl Sixteen di Dreadzone, Toma Feterman dei Soviet Suprem, il gruppo americano Los de Abajo e Robby Megabyte, robot entertainer del nuovo singolo “Take my job away”.
I Dubioza Kolektiv, originari della Bosnia Erzegovina, sono: Almir Hasanbegovic (voce), Adis Zvekic (voce), Brano Jakubovic (tastiere e sampler), Vedran Mujagic (basso), Senad Suta (batteria), Mario Sevarac (sassofono), Jernel Savel (chitarra), Dargan Jakubovic (tecnico del suono).
“#fakenews”, ottavo album della band, si compone di nove canzoni argute e sarcastiche, con temi attuali importanti, a partire da “Cross the line” con la partecipazione di Manu Chao, un inizio con beat dance ed elettronica, che poi passa a un ritmo reggae, il testo parla di “confini”, il “bloody bloody borders”, quelli che separano le persone, ma anche quelli territoriali, toccando il tema della libertà e dell’immigrazione: “I’m just looking for a place I can call my home”.
“Space song” con ritmo reggae che si trasforma in dub con tanto di fiati, parla delle fake news che dilagano, che fanno credere che ci sono in giro tanti soldi, ma perché allora ci sono in giro così tanti mendicanti? Per sottrarsi alle fake news viene ipotizzata una fuga nello spazio “I just wanna run away to freedom”.
“Minimal”, con la collaborazione di Toma Feterman dei Soviet Suprem, punta al risparmio, all’essenzialità, a partire dalle parole del testo, che si ripetono: “minimal lyrics for a minimal song” esaltato, verso la fine del brano, da un riff di fisarmonica orientaleggiante e ammaliante.
“Hoy marijuana”, con la collaborazione dei Las de Abajo, è cantata in spagnolo, un brano elettronico con vene orientali, in cui la marijuana viene difesa e ritenuta una meno pericolosa della corruzione politica o dei criminali; nel testo l’erba magica è impersonata nella figura di una donna, Maria, a cui dice “no trabajar, quiero fumar”.
“Take my job away” ha come ospite la voce robotica di Robby Megabyte, con un inizio reggae che poi passa al rock potente del ritornello. Il testo vuole fare sarcasmo sulla tecnologia e di come le macchine abbiano “rubato” posti di lavoro, ma lo fa in modo ironico, ribaltando la questione e facendo chiedere ai lavoratori di essere sostituiti dalle macchine perché “machine will do all the work” e “there is only one salvation, neverending vacation”.
“Don’t stop” è reggae che parla dell’umanità diventata stupida e pronta a fare qualsiasi cosa per centrare i propri obiettivi, con un cantato trap “I just wanna go against odds and burn down Babylon”.
“French Song” è una canzone breve e divertentissima, che vorrebbe coinvolgere i francesi, ma la lingua è troppo difficile, così vengono usate nel ritornello le parole di uso comune che conoscono tutti: “what rhymes with Macron Emmanuel? Molotov cocktail”.
“Dumb” è un brano rock, il ritornello picchia forte sul titolo, avvalendosi anche dei fiati in stile orientale. Invita ad aprire gli occhi sulla realtà rammentando I raptus omicidi: “your body start to shiver / with your finger on a trigger / are you ready to be killer / it’s a murder”.
“Wild wild East”, l’ultimo brano, è potente nel beat e nel cantato trap in cui si dà a chiunque il benvenuto nel selvaggio est di cui fa parte la band, con l’intento di portare vibrazioni positive a chiunque lo desideri, senza restrizioni: “everybody to the wild wild East, we left the doors opened, don’t need the keys”
Un disco senza filtri in perfetto stile Dubioza Kolektiv, che riesce ad arrivare all’ascoltatore facilmente e arrivando al centro di ogni messaggio con la potenza della musica.
Roberta Usardi
Fotografia di Goran Lizdek