I Blindur e il nuovo “folle” EP “3000remiX” – L’intervista a Massimo De Vita
“Se l’umanità ha una speranza di sopravvivenza, questa è nel ritrovare un equilibrio con la natura. Il seme di quell’equilibrio è nella saggezza “primitiva” che, strada facendo, abbiamo dimenticato. Non e indispensabile andare lontano per scoprire dei tesori.” Tiziano Terzani
Lo scorso 3 luglio è uscito il nuovo EP dei Blindur, “3000remiX”, che contiene 7 versioni inedite, rimasterizzate e remixate della canzone “3000X” contenuta nel loro ultimo disco “A” pubblicato nel 2019. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Massimo De Vita, fondatore e frontman della band, nonché cantautore e produttore, per andare più a fondo di questo progetto.
Non è usuale far uscire un EP con sette versioni remixate di uno stesso brano, per di più un brano che non fu neanche uno dei singoli di “A”. Qual è la storia di “3000X” e come è arrivato a essere l’assoluto protagonista di questo lavoro?
Nell’impeto creativo che ha caratterizzato la nascita di “A”, sia dal punto di vista della scrittura sia della realizzazione in studio, io mi sono legato da subito a questa canzone, era molto diversa dalle cose che avevo scritto in precedenza dal punto di vista estetico, perché girava su un solo accordo, mi sono molto ispirato a un disco dei Noir Desir, una band che ho sempre amato. La canzone, diversa come scrittura, molto meno narrativa, aveva qualcosa di enigmatico, di un po’ onirico, molto visionario nel testo e mi interessava molto la direzione che era venuta spontaneamente fuori, che ho assecondato e sviluppato. Mi è sembrata fin da subito il vero turning point, il vero punto di rottura, ma nonostante questo, quando abbiamo scelto i singoli, per quella canzone si è detto che magari l’avremmo considerata in un secondo momento, ed è stata accantonata. Poi è successo che durante il tour di “A” quella canzone è diventata molto importante per il concerto: era al centro della scaletta e abbiamo assecondato uno spunto che era già nel brano registrato, cioè la coda strumentale, che è diventata lunghissima, molto estatica, molto rituale. Passavamo da una improvvisazione molto anni 70 all’afro beat, è diventata un perno attorno al quale girava un po’ tutta l’attitudine del concerto e questa cosa non ha fatto altro che confermare il mio attaccamento alla canzone. A distanza di tempo, anche un po’ complice l’interruzione del tour che era in corso, abbiamo ragionato sul far uscire un video o una versione live, inventarci qualcosa, dato che era una canzone che ci piaceva suonare e il pubblico si era sempre entusiasmato. Ma a un anno distanza dalla pubblicazione del disco far uscire il singolo era un po’ bizzarro, allora abbiamo preso la canzone per vedere se il potenziale che io intuivo, il suo potere rituale psichedelico, fosse vero o se era una cosa tutta mia. Quindi ho affidato le tracce originali del brano, sia la voce sia le altre tracce, a vari producer e deejay, senza dare nessuna indicazione, semplicemente dicendo di fare quello che volevano, ed è venuta fuori questa follia dei remix.
Come è avvenuta la scelta dei sette producer?
Le persone coinvolte in questo progetto sono quelle che abbiamo incrociato negli anni, adoro mescolarmi ad artisti che fanno altre cose, anche molto diverse. Abbiamo sempre cercato di farlo in generale, tant’è vero che non mi sono mai tirato indietro quando mi è stato chiesto di salire su un palco insieme a qualcuno, dagli Zen Circus a J Mascis a Damien Rice; le collaborazioni sono state talmente tante nel tempo che mischiarsi è diventata una cifra stilistica di Blindur. Quando è saltata fuori l’idea abbiamo recuperato tutti questi contatti, persone che hanno gravitato nel nostro studio a Napoli o che abbiamo incontrato in tour, che facevano i dj set dopo i nostri concerti o, nel caso di Marco Messina, che ovviamente conoscevamo come membro dei 99 Posse, persone che fanno parte come noi di un attivismo politico che riguarda i lavoratori dello spettacolo a Napoli, un coordinamento nel quale siamo molto attivi e che si occupa sia di materie più istituzionali, sia di materie puramente creative. Marco fa parte di questo coordinamento, così come la danzatrice che si è prestata per il video. Blindur vive molto di questo tipo di incroci: prima umani, a pelle, e poi artistici. Questo è stato il modo in cui abbiamo “scelto”, se si può dire così, le persone che hanno lavorato. Ci siamo prima scelti come persone: credo molto nel fatto che in generale le belle persone fanno cose belle, e i rapporti sani, le relazioni pure riescono a produrre cose che hanno una loro luce. Ad esempio, i ragazzi di Sanacore, che hanno fatto una versione remix super dub, hanno un locale in cui noi non abbiamo mai suonato, ma nel quale andiamo spesso a bere e a fare festa. Li abbiamo coinvolti a prescindere da tutto, pur sapendo che fanno altre cose, perché sappiamo che sono persone che ci fanno stare bene e viceversa.
Per quanto riguarda il video, voi avete fatto uscire il remix di Marco Messina, come avete avuto l’idea?
Secondo me il remix di Marco è molto figo perché è stato un po’ più “coraggioso” demolendo la forma canzone che è in assoluto la cosa che mi è subito piaciuta del remix. Lui ha salvato le frasi che gli sembravano più forti, più evocative, in qualche modo quelle hanno tenuto su il pezzo, piuttosto che la canzone. Considera che la cosa che mi interessava a monte di questo progetto era quella di non considerare “3000X” come una canzone d’autore, ma tirare fuori tutto quello che c’era in termini puramente emotivi. Mi interessava che venisse fuori questo e credo che Marco sia riuscito a farlo; anche gli altri ci sono riusciti, ma quella di Marco sintetizza molto bene questo atteggiamento. Per il video abbiamo coinvolto Marianna Moccia, la danzatrice, senza sapere assolutamente cosa lei facesse, non avevo mai assistito a una sua performance, però a pelle (vedi discorso di cui sopra) mi è sembrata la persona che poteva capire cosa volevo tirare fuori da quella situazione e l’intento era di far venire fuori una lotta che si risolvesse con la liberazione di quella parte più istintiva, più animalesca che è in noi, che viene tenuta sottochiave, che si rifà allo stesso tempo a delle parti più antiche, ancestrali di noi, che non sono necessariamente da demonizzare, anzi. L’atteggiamento liberatorio mi interessava moltissimo, lei mi è sembrata perfetta per questa cosa. L’idea della maschera ci è venuta per rappresentare ancora di più questa “bestialità” del personaggio che cerca di rivoluzionarsi, quindi attraverso la danza, l’espressione del corpo è la parte più primitiva che travalica il linguaggio parlato piuttosto che la complessità del suono in forma ragionata, e la maschera ci ha aiutato in questo senso. C’è un artista di Napoli, Luca Arcamone, che costruisce queste maschere, è un genio assoluto, un visionario totale ed è stato molto carino a darci una delle maschere per il video. In un momento di particolare difficoltà generale abbiamo fatto appello alla parte più umana di tutte le persone coinvolte: dai videomaker a Marco Messina passando per Marianna, o a chi ci ha dato la maschera. Hanno tutti quanti risposto con grande entusiasmo proprio sull’onda del messaggio che è in “3000X”.
Con riferimento alla “bestialità” che hai nominato, volevo farti commentare alcuni versi della canzone che mi hanno colpito molto, ad esempio “io e te saremo finalmente soltanto animali”, come se la felicità citata nel primo e nell’ultimo verso fosse quello che impedisce davvero di vivere. Gli animali non hanno bisogno della felicità, che nella canzone viene identificata così: “felicità è il nome del coltello che tortura l’umanità” e trovo che sia un verso pazzesco.
Per questa cosa c’è una storia curiosa: io sono un appassionato di coltelli, (non ho nessun istinto omicida, ride), ma sono molto affascinato dall’oggetto perché fa riferimento a qualcosa di molto primitivo, antico, e ha una sorta di sacralità. Quando stavo scrivendo “A” ho scoperto che i coltelli, nelle varie culture, hanno anche dei nomi perché sono legate a determinate dinamiche. Nel casertano, secoli addietro, c’era questa pratica in cui, quando si ufficializzava una relazione, lui regalava a lei un coltello che si chiamava Amore e lei era autorizzata ad utilizzarlo se avesse scoperto un tradimento di lui. Questa cosa mi ha molto colpito, mi ha fatto pensare a come effettivamente un concetto che dovrebbe essere la più alta espressione di libertà e liberazione dell’essere umano può trasformarsi in distruzione, in un oggetto che uccide. Un po’ sull’onda di questi ragionamenti ho immaginato questa sorta di società neo primitiva di un futuro distopico, che nominasse un coltello rituale come felicità, perché credo che la società in cui viviamo ci obblighi a una ricerca sfrenata, ossessiva, folle della felicità, che arriva soltanto, dal mio punto di vista, quando sei il più bravo, il più bello, il più ricco, il più famoso, il più considerato, ma questa ricerca, oltre a essere estremamente competitiva, disgregando totalmente l’idea di collettività e l’idea di condivisione che è alla base dell’essere umano in quanto animale sociale, ti condanna a una frustrazione continua, perché in realtà il secondo è semplicemente il primo degli ultimi, quindi o sei il primo o non sei nessuno. Ovviamente non tutti possono essere il primo, ma soprattutto non è necessario. Nel comunicato stampa ho inserito una citazione di Tiziano Terzani che mi sembra molto pertinente, lui parla di una saggezza primitiva e proprio in quell’istintività, nel fare appello alla parte animale c’è un concetto di felicità non idealizzato, la felicità delle cose semplici, dell’annusarsi, dell’andare per andare, del mangiare perché hai fame, del dormire perché hai sonno e non pensare a essere il primo della lista a tutti i costi. In questo senso mi sembra che rimodellare un’idea di felicità sia indispensabile se vogliamo che la nostra società si basi sull’idea di renderci felici. Per fare un’altra citazione, Chris McCandless “La felicità è tale solo se condivisa”: se è vera questa cosa, la felicità frutto della competizione e dello scontro non può essere felicità perché è strettamente legata all’individuo e non alla condivisione.
Da dove viene il titolo “3000X”?
In prima battuta mi ero detto “adesso metto una data ipotetica di un anno di questo futuro immaginario” e volevo almeno un millennio in più, quindi “3000”, ma 3000 cosa? Mi sembrava l’ennesima brutta copia di 1984, quindi, come si direbbe “eravamo nel 1900X”, per dire che non è precisato l’anno, mi è piaciuta moltissimo l’idea di “3000X”. Poi X è un simbolo molto bello, una croce messa di sbieco, qualcosa per segnare un punto su un’ipotetica mappa, un simbolo che mi interessa molto dal punto di vista visivo, per quanto io sia non vedente, però ho una certa fissazione per questo tipo di cose, quindi il numero associato a una lettera che non è soltanto una lettera mi sembrava che completasse il quadro di questa idea un po’ rituale e me lo sono immaginato come una pittura rupestre.
Una curiosità, nei remix nessuno ha cantato e risuonato? Neanche in quello che ha come ospite Fabiana Martone?
Qualcuno ci ha chiesto di fare delle cose e noi ci siamo messi a servizio di chi ha rielaborato i brani. Per esempio, il deejay Whodamanny, che si occupa di uno stile che si chiama “Napolitan disco” , molto in voga negli anni 80, ha coinvolto, in comune accordo, Fabiana Martone, la cantante dei Nu Guinea, una cara amica con cui non avevamo mai collaborato ed è stato molto divertente. In quel caso io ho ricantato il brano insieme a lei e il resto della band ha risuonato il brano in maniera totalmente diversa, seguendo le indicazioni del deejay; abbiamo costretto Michelangelo*, il “nemico degli anni 80”, a fare le chitarre funky disco super ‘80s, a Jonathan**, il nostro batterista sono state assegnate serie di percussioni di vario genere, tutto molto tropicale. È stato molto divertente e esilarante rifare alcune cose.
*Bencivenga, chitrarrista dei Blindur
**Maurano
La copertina come un mandala di questo EP con i colori accesissimi e l’occhio nel mezzo da dove è nata?
Vincenzo Del Vecchio Videl è un arista incredibile, anche lui un super visionario, un carissimo amico e il batterista di una band fighissima che si chiama Malmö, ma è anche un illustratore clamoroso, ha illustrato un libro bellissimo che si chiama “Terraneo”, un viaggio ipotetico in un Mediterraneo in cui non c’era il mare, ha immaginato le migrazioni da una parte all’altra via terra, e questa sua idea ci è sembrata direttamente collegata con quello che stavamo facendo noi e con questa canzone, quindi gli abbiamo chiesto di rielaborare quello che è un po’ un simbolo di Blindur, in maniera un po’ situazionista, quella dell’occhio. È un tema che proviamo sempre a tirare in ballo per il fatto che io credo che la mia cecità sia tutt’altro che un limite. Gli abbiamo chiesto di immaginare un occhio che avesse a che fare con un sole e un mandala e qualcosa di molto primitivo, l’idea del rito che ritorna, di qualcosa che abbia a che fare con il sacro, ma un tipo di sacralità ancestrale. Lui ha ascoltato la canzone a ripetizione all’infinito, la copertina è stata approvata la prima bozza, aveva già colpito nel segno, tant’è vero che l’abbiamo utilizzata anche per le nuove magliette di merchandising. Io ho potuto toccare il disegno che aveva fatto perché era stato realizzato in rilievo e ha molto di tutte queste cose messe insieme, molto futurista e allo stesso tempo molto ancestrale, molto primitiva.
Quali sono i vostri prossimi progetti, farete delle date dal vivo?
Abbiamo subìto un’interruzione a metà del tour acustico di “A” in versione unplugged, “A-custico”, e saremmo dovuti partire quest’estate per un tour negli Stati Uniti. Purtroppo tutto è andato diversamente, ma abbiamo deciso di sfruttare questo tempo per metterci a lavorare su altre cose e creare un po’. Io sono un po’ malato di palco e da sei anni a questa parte non ho mai fatto una reale pausa dai concerti e ogni volta che mi sono detto di fare una pausa di 2/3 mesi, dopo 15 giorni arrivava sempre una proposta alla quale non si poteva dire di no, quindi le pause erano sempre finte, duravano due settimane. Al momento la pausa è forzata, però faremo alcuni concerti a partire da fine agosto. Siamo super felici di tornare dal vivo, ci sono alcune città a cui siamo particolarmente legati: Torino e Milano sono città nelle quali abbiamo avuto un riscontro bellissimo e sapere che alcuni dei posti in cui abbiamo suonato più volte, come Arci Ohibò o il Serraglio non ci sono più ci fa molto male, ma nonostante questo faremo delle date, abbiamo in programma anche un paio di finali di premi. A Milano siamo innamoratissimi di Germi.
Uscirà un altro remix come singolo?
Non te lo so dire, vedremo cosa succederà prossimamente.
Vi aspettiamo a Milano al più presto!
Roberta Usardi
Fotografia di Riccardo Piccirillo
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