“How to accelerate. Introduzione all’accelerazionismo” di Tiziano Cancelli
Che cos’è il Movimento «accelerazionista»? Ve lo spiega il lavoro scorrevole, ma non superficiale, di Tiziano Cancelli “How to accelerate. Introduzione all’accelerazionismo” (Tlon, Roma 2019, pp. 124, euro 13).
L’accelerazionismo fa la sua prima comparsa nell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari (1972), ma le linee guida del Movimento sono considerate l’Economia libidinale di Lyotard (1974) e La fine della storia di Fukuyama (1992). Il comune obiettivo polemico di Loytard e Fukuyama era il marxismo, e più esattamente l’idea che per aprire una nuova fase della storia umana bisogna superare il capitalismo. La tesi che emerge dai due autori, invece, è che con l’avvento del capitalismo la storia umana abbia già offerto tutto quello che poteva dare. Il capitalismo ha rappresentato l’uscita dal Medioevo e dallo stato di minorità. Distruggendo la disuguaglianza e l’immobilismo degli antichi ordini sociali e delle corporazioni medievali, il capitalismo ha creato una società ultradinamica di esseri giuridicamente uguali. Inoltre il capitalismo, innervato nella tecnologia, ne ha permesso lo sviluppo oltre ogni limite, mettendo in piena luce la natura “prometeica” dell’essere umano. La prima diffusione di queste idee nel mondo anglosassone si deve, a partire dal 1995, all’accelerazionismo «di destra» (R/acc.) di Sadie Plant e Nick Land, che elaborarono la tesi che il capitalismo e la tecnologia innervata in esso non vanno ostacolati, ma anzi accelerati. Nel suo sviluppo accelerato il capitalismo è un torrente in piena che distrugge il vecchio per introdurre il nuovo, o meglio, fa invecchiare rapidamente tutto quello che produce, rivoluzionando continuamente tutti i rapporti sociali e creando nuovi oggetti di desiderio. In ciò assolve un compito già essenziale in Deleuze e Guattari, la liberazione e lo scatenamento degli impulsi desideranti. Gli oppositori del capitalismo, e in particolare i marxisti, sono figli dell’umanesimo e della cultura del risentimento. In ciò che essi leggono come “alienazione” cova in realtà il germe di una nuova forma di umanità, quella dell’oltreumano. Il profeta del nuovo regno è soprattutto Nick Land, dai cui scritti emergono idee di Nietzsche riutilizzate in un fosco quadro lucidamente visionario, dove i modelli di oltre-uomo diventano le figure innominabili di Lovecraft o i cyborg di Terminator e i replicanti di Blade Runner. La risposta marxista non si fece attendere, ed elaborò un accelerazionismo «di sinistra» (L/acc.), diffuso dal Realismo capitalista di Fischer (2008) e dal Manifesto accelerazionista (2013) di Williams e Srnicek. Il Manifesto si ispira chiaramente a quello di Marx, e dice una cosa ovvia che tuttavia si è persa nel tempo. Marx è stato il primo «accelerazionista», e il suo Manifesto, come diceva Labriola, era un inno alla borghesia e alla forza rivoluzionaria del capitale. Anche per Marx l’alienazione aveva aspetti positivi oltre che negativi, e forse più positivi che negativi, perché “accelerava” il momento fatale in cui il proletariato mondiale, unificato dallo stesso sviluppo globale del capitalismo, avrebbe preso in mano il proprio destino. Davanti a questo obiettivo finale il vecchio mondo era tutto sacrificabile. Anche il genocidio degli indiani d’America era un evento positivo dal punto di vista di Marx, perché apriva la strada all’industrializzazione e alla locomotiva simbolo di progresso. Il limite del capitale erano le sue «contraddizioni interne», che ostacolavano il pieno sviluppo di tutta la tecnologia e di tutte le forze messe in moto («il limite del capitale è il capitale stesso»). Dall’insoddisfazione verso i due estremi nacque infine «l’accelerazionismo incondizionato» (U/acc.), che forse meglio si chiamerebbe «accelerazionismo rassegnato».
L’accelerazione tecnocapitalistica è prodotta da una forza che non può essere governata né da destra né da sinistra, è solo inevitabile come il destino. Non a caso Cancelli richiama a questo proposito, molto opportunamente, l’amor fati di Nietzsche. E in effetti leggendo questo libro è difficile non pensare che dietro la nuova etichetta di «accelerazionismo» si nascondano cose già viste e sentite. A parte Nietzsche e Marx, difficile per un italiano non pensare a Marinetti o Balla, o allo stesso d’Annunzio. Per quanto riguarda poi il futuro del capitalismo, leggendo questo libro non sembra che si sia fatta molta strada dai tempi del dibattito su Bernstein, che continuamente riemerge come un fiume carsico.
Luciano Albanese