Hofmann Orchestra: l’esordio di pura energia con “Ouverture”
Il 21 aprile è uscito “Ouverture”, il disco d’esordio della rock band romana Hofmann Orchestra, formata da Giulio Cecchini (voce, cori, chitarre, hammond, sitar elettrificato, rumore ed effetti), che ha anche composto tutti i brani, Alessandro La Rosa (batteria) e Stefano Taborri (basso). Tre componenti per un nome che evoca un’orchestra, ma l’immagine sonora è ben diversa dalla convenzione, va (felicemente) oltre: si tratta di rock viscerale, ruvido, con testi densi di ironia e ermetismo. Un disco variegato e allo stesso tempo coeso, come indica anche l’artwork di copertina. Più lo si ascolta e più si scopre la profondità di ogni canzone.
Andiamo brano per brano.
“Ouverture” ha un intro cupo e distorto che spalanca le porte alla voce all’improvviso, che in questo brano affronta un registro medio alto: “tu sei la gioia che non hai, questo è il tuo momento”; l’evoluzione sonora del brano porta a diversi stacchi e riprese, a un ritmo lento e trascinante, che forma una tessitura intrigante.
“Mustang (Cambiare car è una scelta di vita)” ha un forte impatto già nel riff iniziale, esaltata anche dalla voce che entra doppiata in ottava, in una nenia vocalmente altezzosa in linea con il mood sonoro.
“La mia vita o poco più” parte da un riff di chitarra che dà il via a tutto il brano, un’onda rock potente che la voce cavalca impetuosa, ruvida nel ritornello “a sanguinar coi demoni che ignoro e non sorprendo mai, abbraccio davvero in fondo tutta l’oscurità?”.
“Via d’uscita” avanza con un ritmo cadenzatom lento e pesante allo stesso tempo, con suoni misti tra elettronica e chitarra; la voce è lugubre, il motto del brano è racchiuso nel potente verso “insorgere la chiave per vivere”.
“Desertica” inizia subito implacabile, cantata in modo soave in contrasto con il background inquietante, che nel ritornello si distorce ulteriormente; il testo è impietoso, offerto alla melodia nel ritornello: “ma ogni crollo verticale è alla base del tuo male, così il sogno è poi scalfito da tediose verità”.
“Fuoco fatuo” ha un intro cupo e vagamente western, così come la voce, che entra distorta fino all’entrata degli altri strumenti, dove invece arriva pulita. L’arrangiamento è diversificato, con momenti di pausa in cui solo la voce troneggia e altri in cui è il ritmo a far salire il volume e la ruvidità vocale nonché la potenza sonora, simile a un vortice distorto nell’ultima parte del brano: “per non sapere poi se davvero ti opporrai a quel sopravvivere che sai non ti curerà”.
“Il mondo dei Bodhisattiva” è un brano strumentale in cui è il basso che inizia a dettare il tempo, a cui si aggiunge un distorto sottofondo e una chitarra pulita a fare la melodia. Il brano rappresenta il viaggio nei diversi stati dell’anima, di cui si sente la grandezza e l’evoluzione che si compie all’interno di ognuno di noi, con un inizio graduale, poi un insieme, poi un climax, una pausa e una ripresa placida.
“Tutti i nudi vengon al petting” è un’onda travolgente fin dalle prime note, questo brano non aspetta, avvince subito con la sua ironia, già presente in pieno nel titolo ed evocata pienamente dalla voce sostenuta dall’arrangiamento potente: “non c’è più nulla che ti tolga d’impaccio, rimani fuori da me”.
“Mortobotanico” inizia (e finisce) con un mantra che si insinua nella mente, tetro, accompagnato da un ritmo imponente e tribale fino alla fine: “condivido la mia opinione almeno per metà, poi ripudio ogni mia indiscrezione, disprezzo ogni sobrietà che nessuno raccoglie”.
“Rivoluzioni in svendita” ha un inizio con il solo pianoforte, intenso, in una melodia che alla soavità mischia con armonia anche le sfumature più scure prima di ampliarsi a tutti gli strumenti. La melodia e la voce sono limpidi e i versi mettono in guardia dalle rivoluzioni in svendita del titolo: “salvati almeno tu da quei sogni che non so realizzare”.
Una “Ouverture” che serve solo da assaggio per quello che verrà dopo. E attendiamo di scoprirlo presto.
Roberta Usardi
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